“Risorgere” era un’attesa viva già migliaia di anni prima di Cristo: «Io credo risorgerò …» è l’affermazione del Libro di Giobbe, un testo tramandato oralmente dai nomadi, accolto e trasformato in un capolavoro mondiale di poesia da Israele.

“Non finire” è un bisogno radicato nell’uomo. La morte cancella un capitolo della vita, quella che stiamo vivendo ora; la vita, però, continua. Come? Qui si inserisce la nostra riflessione. La Risurrezione è un pianeta inquietante e affascinante in cui siamo chiamati a vivere. Per questo ci interessa.

La risurrezione di Cristo è quella a cui va immediatamente il nostro pensiero. Come mai nessuno dei 4 Vangeli (salvo Matteo che lo fa con linguaggio apocalittico) racconta il momento della Risurrezione di Gesù? I Vangeli narrano gli incontri con il Risorto, ma non l’evento della Risurrezione. Anche i primi discepoli si sono trovati spiazzati di fronte al Risorto: lo hanno scambiato per un viandante, per il custode del giardino, per un fantasma … Strano. Eppure avevano vissuto con lui per tre anni interi. Capiscono che è lo stesso, ma è anche tanto diverso. Perché non lo riconoscono? Che cosa ha cambiato la Risurrezione in lui, e che cosa cambierà la risurrezione in noi?

Vita che non finisce

Quando noi diciamo o sentiamo l’espressione “vita eterna” pensiamo all’Aldilà. Non è corretto. Vita eterna non l’aldilà, bensì la vita che è in Dio, che è eterna, mentre quella che stiamo vivendo noi è Vita a termine. Il sogno di Dio è condividere con i suoi figli la sua “vita eterna”. Lo ha fatto attraverso il Figlio. Il suo messaggio, l’offerta che ha fatto della sua vita ha aperto a noi il cammino verso la risurrezione.  La nostra unione con il Figlio porta la nostra vita è progressivamente alla vita di Dio. Non si tratta di un passaggio istantaneo, bensì di una progressiva assimilazione. Questo possiamo scoprirlo, più che con il ragionamento, rivedendolo nell’esperienza dei primi che hanno fatto esperienza del Risorto.

I due di Emmaus. Sono di una comunità (quella dell’evangelista Luca) che sta attraversando una profonda crisi. Molti stanno abbandonando la comunità. Quelli rimasti, amareggiati si dicono: “Se il Maestro fosse ancora con noi, tutto si risolverebbe facilmente; ma dove possiamo trovarlo?”. Due di questa comunità decidono di tornare alla vita che facevano prima di incontrare Gesù. Uno dei due si chiama Cléopa (un parente di Giuseppe), dell’altro non ci dà il nome (potremmo metterci il nostro nome o quello di chiunque di noi, deluso, che intende abbandonare). Mentre sono nel cammino di allontanamento, il Risorto si avvicina discretamente e si collega ai loro discorsi di delusione «Noi speravamo …». Dopo averli ascoltati egli inizia una lunga catechesi per far loro vedere che le Scritture avevano previsto tutto. Sono ormai vicini a Emmaus e lui “fa come se dovesse andare oltre” provocandoli alla richiesta: “Resta con noi perché si fa sera e il giorno sta morendo”. Hanno bisogno di non interrompere quel dialogo. Gesù entra con loro e fa l’Eucaristia: «Quando fu a tavola con loro, prese il pane disse la benedizione, lo spezzò … e i loro occhi si aprirono e lo riconobbero». È l’Eucaristia della comunità di Luca che ridona ai discepoli la certezza che lui è rimasto e rimane per comunicare loro la vita nuova dei risorti.

Maria di Magdala. Una vita la sua senza capo né coda (da lei “erano usciti sette spirito maligni”). L’incontro con il Maestro le aveva cambiato radicalmente la vita. Ma un giorno il Maestro viene preso, giudicato, condannato e giustiziato. Maria ha la sensazione che la sua vita stia per ricadere nel caos di prima. Le è rimasto solo il suo corpo. Si reca al sepolcro quando è ancora notte dentro di lei. La tomba è vuota. Piange accanto al sepolcro vuoto. Il Risorto le si accosta come ha fatto con i due di Emmaus. E la interroga: “Donna perché piangi, chi cerchi?”. Non lo riconosce; lo scambia per il custode del giardino; ma basta che lui la chiami per nome “Maria!” e lo riconosce: “Rabbunì! (Maestro mio)” e la vita ritorna.

Tommaso il dubitatore. È un classico. Notiamo che è soprannominato Dìdimo (che significa gemello) di chi? Di me, di te di tutti i dubitatori. Gesù non lo rimprovera, anzi si presta alle sue richieste, accetta il gioco: “Metti il tuo dito nel foro dei chiodi e la tua mano nel cosato …”.  Tommaso non lo fa perché ha capito e arriva ad una delle più alte espressioni di fede: “Mio Signore e mio Dio!”.

Il banchetto sulla spiaggia. “Si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo ed altri due discepoli…” (forse ci siamo anche noi tra i due). “Disse loro Simon Pietro: Io vado a pescare. Gli dissero: Veniamo anche noi con te”. Si tratta di quella pesca che Gesù aveva loro detto: “Vi farò pescatori di uomini”. Fu un lavoro lungo e deludente. Quante colte il Maestro li aveva rianimati, ma ora lui non c’era; invece: “Quando era già l’alba Gesù si presentò sulla riva; mai discepoli non si erano accorti che era Gesù”. Egli chiede se avevano qualcosa da mangiare; Gli rispondono di no. Il lavoro era stato infruttuoso: “Gettate la rete dalla parte destra della barca – dice Gesù – e troverete”. È il colpo d’ala che fa ripartire. Infatti: le reti erano talmente piene che non riuscivano a tirarle a terra. Nessuno aveva capito che era il Maestro, ma “il discepolo che Gesù amava” lo intuì e lo disse a Pietro che gli andò incontro. C’era anche il fuoco già acceso sulla spiaggia; di pesce ce n’era in abbondanza, ma “il pane” lo offriva lui. Era l’Eucaristia.

La nostra Resurrezione. Il passaggio dalla “vita a termine” alla “vita eterna” è già in atto. Attraverso il Figlio e il dono che ha fatto di sé a noi è già iniziata la nostra resurrezione. È un percorso lento e continuo. Fondamentale è affidarci a lui e lasciarlo agire: ascolto della Parola di Dio, Sacramenti e soprattutto Eucaristia, dove noi assimiliamo lui. Non stiamo semplicemente assicurandoci un posto in Paradiso: stiamo realizzando la nostra risurrezione, il nostro passaggio verso la nostra piena assimilazione al Figlio.

Uno scrittore francese non credente diceva ai cristiani del suo tempo: “Dove diavolo nascondete la vostra gioia, voi a cui è stato consegnato il messaggio della Risurrezione!”. È lui, il Risorto che intende coinvolgerci nella sua risurrezione.  Proviamo a pensare quali nostri atteggiamenti potrebbero lasciar capire che crediamo nella Risurrezione. Termino con un episodio, ingenuo ma vero a questo riguardo.

“Ma Gesù è morto o vivo?”, chiese una bambina alla nonna. A dire il vero, era un po’ che le frullava in testa questa domanda, il parroco era arrivato alla scuola materna e aveva spiegato a lungo che Gesù era stato crocifisso e sepolto.

La nonna capì molto bene la domanda della sua nipotina, andò ad aprire il vangelo, le lesse alcune righe: «le donne erano andate al sepolcro il mattino dopo il sabato e avevano trovato il sepolcro vuoto! E proprio lì stava un angelo ad annunciare che Gesù era vivo!». La cosa fece felice la bambina.

Qualche giorno dopo, la nonna si recò con la nipotina alla prima Messa della domenica. Celebrava un sacerdote anziano, assistito da un chierichetto pure anziano. Tra i banchi poca gente, anziana con tutti gli acciacchi dell’età. Anche i canti che una donna dal primo banco intonava erano bassi, lenti, cantati da pochi e senza convinzione. La bambina, dopo aver osservato la scena, disse sottovoce alla nonna: “Ma questi lo sanno che Gesù è risorto?”.