La vita eterna non è l’aldilà, ma la vita che è in Dio (la nostra è vita a termine). Risorgendo Gesù, come uomo, è entrato nella vita eterna di Dio, aprendo il percorso anche per noi. La nostra risurrezione è già in atto ora se siamo in comunione con Dio. Gesù è risorto per introdurci nella vita eterna di Dio.

Immortalità: sogno o realtà?
Per Dio l’immortalità dell’uomo, è una certezza, è un progetto. Nel libro di Qoelet c’è un curioso accenno a proposito della vita dell’uomo che sembra tutta “vanità” (cosa che non dura, svanisce): «Egli ha messo la nozione dell’eternità nel loro cuore …» (3,11). Non è difficile capire che tutta la lotta dell’uomo contro la morte non è che il desiderio profondo di “non finire”. Questo sogno cozza contro un’amara e continua constatazione: ogni giorno sappiamo del finire di milioni di persone.
Allora il sogno dell’immortalità è una beffa crudele? Non è pensabile che il Creatore, che ha voluto l’uomo “a sua immagine e somiglianza” lo deluda in modo così amaro. Il sogno dell’immortalità dura da sempre nell’uomo, che è l’unico dei viventi che sa di morire.
Da chi o da che cosa possiamo avere l’immortalità? Coloro che ci hanno messo al mondo o sono già morti o si incamminano ad esserlo; non possono darci l’immortalità che non hanno. Non ce la possono dare i medici o la medicina: i primi sono mortali essi pure, la seconda è alla ricerca (per ora senza esito) della durata illimitata della vita; l’unico risultato, a tutt’oggi, è un piccolo allungamento che non impedisce, comunque, il decadimento.
Quanto alle teorie della “reincarnazione” promettono qualcosa, che non è esattamente quello che cerchiamo, e il loro fondamento è tutt’altro che dimostrato.
L’immortalità non ci viene neppure da quello che facciamo, che noi pensiamo ci sopravviva; nei casi migliori lascia (solo per pochi) il nome sui libri di storia e sulle vie della città. Comunque la stragrande maggioranza degli uomini non avrà la sopravvivenza nel ricordo. Sì, è vero che le persone con cui siamo vissuti, che abbiamo amato e che ci hanno amato ci ricorderanno, ma anche quei pochi moriranno e il nostro ricordo finirà con loro.
Chiudiamo questa prima riflessione ripartendo dalla Scrittura, alla quale facciamo credito illimitato. Il Libro della Sapienza ha questa affermazione che non lascia dubbi: «Sì, Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità (immortalità), lo ha fatto a immagine della propria natura» (Sap 2,23). Questo ci spinge a cercare la risposta in una direzione diversa.
L’UOMO: UN COMPOSTO DI DUE ELEMENTI
Partiamo ancora dalla Scrittura, che ci presenta l’origine dell’uomo in un modo “mitico”, che lascia capire più di quello che le parole sembrano dire: «Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente» (Gen 2,7). Non ha usato fango o creta, ma polvere del suolo, che un soffio di vento disperde. Questo per dirci la provvisorietà del composto. Ha aggiunto di suo personale una “scintilla” di vita; la Bibbia la chiama “alito”, siccome Dio è amore, io preferirei chiamarla “scintilla di amore”.
Dai nostri genitori abbiamo avuto “l’involucro” della parte divina di noi, il corpo. Per questo i nostri genitori si chiamano “pro creatori”, perché collaborano a creare. È un composto chimico di cose presenti in natura (acqua, sali minerali, lipidi glucidi, proteine, vitamine …). Il nostro corpicino originale e cambiato miglia, migliaia di volte durante la vita, attingendo alle cose che la natura ci offriva. Quello che non è cambiato è “la scintilla” che Dio ha messo i noi.
Il corpo, essendo materia, ha un ciclo di durata; l’alito di Dio non può finire. Da qui è partito il progetto della nostra immortalità. Noi siamo acqua di quell’oceano che è Dio; non possiamo essere staccati da lui, perché l’acqua dell’oceano non può perdere il contatto con quello, se no si esaurisce. Quando noi parliamo di vita eterna pensiamo all’aldilà; no, la vita eterna è quella che è in Dio, a differenza di quella del nostro corpo che è vita mortale (a termine). Il progetto di Dio è agganciarci, già ora, alla sua vita, che è eterna. Questo è il motivo per cui il Figlio di Dio si è fatto uomo: «Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10). Potremmo dire a questo punto che lo scopo della vita di ogni uomo è agganciarsi alla vita eterna.
La valigia
Un uomo morì. Appena varcata la soglia dell’aldilà vide Dio, con una valigia, che gli veniva incontro. Dio gli disse: «Figlio, è ora di andare».
L’uomo stupito domandò: “Di già? Così presto? Avevo tanti progetti..”.
Dio lo interruppe: «Mi dispiace ma è giunta l’ora della tua partenza».
E si incamminarono. Curioso l’uomo chiese a Dio: “Cosa porti nella valigia?”
E Dio gli rispose: « Ciò che ti appartiene».
– Quello che mi appartiene? Porti le mie cose, i miei vestiti, i miei soldi?
Dio rispose: «Quelle cose non ti sono mai appartenute, erano del mondo».
– Porti i miei ricordi? – Quelli non ti sono mai appartenuti, erano del tempo.
– Porti i miei talenti? – Quelli non ti sono mai appartenuti, erano delle circostanze.
– Porti i miei amici, i miei familiari? – Essi erano solo compagni di viaggio.
– Porti il mio corpo? – Non ti è mai appartenuto. Era polvere del suolo.
– Allora porti la mia anima? – No, l’anima è mia.
Allora l’uomo, di scatto, afferrò la valigia per guardarvi dentro e, con le lacrime agli occhi disse:
– Ma è vuota! Allora non ho mai avuto niente?
– Beh, le cose materiali, per cui hai tanto lottato, non puoi portarle con te. Il vero bene della vita è il tempo. Ecco perché non dovevi sprecarlo ma impegnarlo per prepararti alla vita eterna, accumulando l’unico tesoro che ha valore nel mio Regno: i tuoi gesti di amore. Il resto non conta nulla nel mio mondo.
È un simpatico racconto di fantasia, ma anche molto istruttivo per la valutazione delle cose della vita che stiamo vivendo.
VITA ETERNA … VITA DI DIO
Quando noi parliamo di “vita eterna” noi pensiamo all’aldilà. No. La vita eterna è la vita di Dio; la nostra è vita, invece, è a termine; è, cioè, un ciclo che ha un inizio e una fine. Entrare nella vita eterna, allora significherebbe nella vita di Dio, partecipare alla sua vita.
Creando l’essere umano, secondo quanto dice il libro della Genesi (Gen 2,7), Dio ha preso della “polvere del suolo” e vi ha messo un alito di vita. Quell’alito è qualcosa di immortale che è nell’uomo. Il libro del Qoelet dice ch Dio «ha posto nel cuore dell’uomo la durata dei tempi» (Qo 3,11). C’è nel cuore dell’uomo un desiderio di eternità.
Dio, creando l’uomo con quell’alito divino e con il desiderio di eternità, ha aperto all’uomo la possibilità di partecipare alla propria vita eterna che è eterna. L Resurrezione in cui ci introduce Gesù è la realizzazione concreta e vera del nostro desiderio di immortalità. Noi siamo fatti per la “vita eterna” e Dio ci offre l’opportunità di averla per mezzo del Figlio.
RISURREZIONE: LA FANTASIA DI DIO
Quando pensiamo alle soluzioni che abbiamo fantasticato noi (la reincarnazione a ciclo continuo, gli ingenui paradisi della tradizione cristiana popolare, lo Sheol degli ebrei o il paradiso godereccio degli Islamici …) sono state polverizzate dalla fantasia di Dio, la Risurrezione. La nostra fantasia si perde di fronte ad un simile progetto; non riusciamo nemmeno a immaginarlo.
Quando ero ragazzo, al catechismo, ci parlavano del Paradiso come di un posto bellissimo, dove avremmo contemplato il volto di Dio per tutta l’eternità, mi veniva spontaneo pensare: “Chissà che noia!”. Dio è novità, fantasia, sorpresa … Noi siamo come il cavallo dell’imperatore Caligola che, il giorno dell’elezione al trono del padrone, diceva agli altri cavalli della scuderia: “Domani il mio padrone diventa imperatore, chissà che biada d’oro mangerà”. Era un cavallo e pensava da cavallo; così noi con Dio.
Nessuno dei quattro Vangeli descrive la resurrezione, salvo quello secondo Matteo, che ne parla con il linguaggio apocalittico, cioè con un linguaggio non descrittivo.
I pittori con le loro raffigurazioni ci mostrano Gesù vittorioso che esce dalla tomba. Gesù non è uscito dalla tomba: è andato oltre la tomba. Questo per noi è difficile da capire. Inserisco alcune brevi riflessioni per darci una suggestione di che cosa sia la risurrezione.
Una tomba, un’urna sono troppo piccole per contenere le meraviglie che Dio ha fatto per ognuno di noi.
Discese agli inferi per estrarre vittorioso l’uomo decaduto per l’antica colpa e fatto schiavo del regno del peccato, e per spezzare con mano potente le serrature delle porte e aprire a quanti l’avrebbero seguito la gloria della risurrezione. (Liturgia mozarabica)
Se non si salva l’uomo, non si salverà niente, perché è l’uomo stesso che è chiamato a divenire il regno di Dio. (Maurice Zundel)
Ho sempre pensato – e forse è un azzardo – che il mistero dell’Incarnazione sia più grande di quello della Resurrezione. Perché un Dio che si fa bambino,.. e poi ragazzo,.. e poi uomo, quando muore non può che risorgere. (Edith Stein)
La risurrezione di Cristo era il capitolo finale del capolavoro di Dio e presupponeva tutto il percorso precedente: l’incarnazione, la vita nascosta, il messaggio, la scelta dei dodici, il processo, la condanna e la morte. La preghiera liturgica della conferenza episcopale svizzera dice: “Attraverso la passione e la morte hai condotto Cristo alla Resurrezione e lo hai chiamato alla tua destra re dell’universo”.
Ripartiamo dal duro confronto tra Gesù e i suoi uditori, dopo il racconto della “moltiplicazione dei pani” nel Vangelo secondo Giovanni (cap. 6) emerge una sua proposta radicale. Lo volevano fare re, ma non avevano capito che il suo sogno non era dominare, ma donarsi per salvare. Nel dialogo che seguì fece la sua precisazione: «Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» (v. 51). I Giudei avevano capito benissimo, ma si rifiutavano di accettare che un semplice carpentiere pretendesse di essere fonte di vita piena. La “vita eterna” di cui parla non è l’aldilà, ma la vita che è in Dio e la proposta di Gesù è agganciarsi a questa vita già adesso.
Quando parliamo della “comunione eucaristica” non si tratta solo di comunione con il Pane ma ancor prima con la Parola. Se manca quest’ultima la comunione con il Pane rischia di ridursi a un gesto quasi magico.
LIBERIAMO L’IMMORTALITÀ
CHE È IN NOI
C’è una parte di noi che ha un ciclo a termine, quella che ci è stata data dai nostri genitori; ma c’è un’altra che è immortale: la “scintilla” di sé che Dio mette in ogni essere umano. L’immortalità parte da questa scintilla. Diciamo subito che, siccome «Dio è amore» come dice la Prima lettera di Giovanni (4,8), la scintilla divina che è in noi è una scintilla di amore. Nella misura in cui noi diamo forza a questa scintilla facciamo crescere in noi l’immortalità.
Con il Battesimo noi siamo stati innestati in quella meravigliosa vite che è Cristo: «Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla» (Gv 15,5). La nostra vita ha questa grande possibilità: crescere in lui e con lui. Non dimentichiamo l’affermazione di Gesù: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà …» (Gv 11:25). Quell’«anche se muore» ci toglie ogni dubbio sul limitato potere che può avere la morte su di noi. Morirà una parte di noi, ma quella parte che ci viene da Dio non può morire: è immortale.
Possiamo ora capire il perché dell’ultima consegna che ci ha fatto Gesù: Questo è quanto vi chiedo: che vi amiate l’un l’altro come io ho amato voi» (Gv 15,12). La nostra eternità è questa: amare come ci ha amato lui. E la prima lettera di Giovanni (1Gv, 3,14) precisa «Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte».
E ALLORA LA MORTE?
È giunto il momento di fare chiarezza su tanti luoghi comuni sulla morte. Non molti anni fa abbiamo affrontato il tema con questa espressione Dalla vita alla Vita dove la “v” minuscola e la “V” maiuscola dicono il salto di qualità. Non possiamo dare una risposta al problema della morte a partire dalla esperienza che abbiamo fatto di essa personalmente. “Non possiamo guardare in faccia il sole o la morte” diceva lo scrittore e filosofo francese François Rochefoucol.
Il sociologo austriaco Franz Borkenau ha parlato di culture che negano la morte, di culture che sfidano la morte, di culture che accettano la morte e di culture che trascendono la morte. La solenne celebrazione dei riti funebri è stata, presso molte culture, un tentativo di esorcizzare l’inquietante mistero del morire.
Il fenomeno più recente che ha sconvolto il nostro rapporto con la morte è la sua secolarizzazione, (l’abbandono della dimensione della trascendenza che essa aveva), e la sua privatizzazione (riduzione a fatto privato). La “privatizzazione” – dicono i sociologi – è stata un modo per emarginare la morte. Essa non appartiene più al numero delle cose di cui le singole persone si debbono occupare: la morte è demandata ad agenzie apposite (ospedale, imprese funebri, ecc. …) che ci sollevano dal coinvolgimento diretto con essa. Un nostro proverbio recitava così: “Chi muore giace, chi vive si dà pace”.
Il nostro linguaggio quotidiano liquida la morte con frasi scontate: “Ci ha lasciato … non c’è più … se n’è andato …” ma una risposta chiarificatrice non l’abbiamo ancora. Mi ha sempre colpito la frase di Gesù difronte a Lazzaro che egli aveva chiamato dal sepolcro e che si era presentato con tutti i segni della morte (sudario, lenzuolo dei morti…): «Scioglietelo e lasciatelo andare!». Come dire che non era scomparso, ma solo stava facendo un altro percorso. I morti sono morti dentro di noi perché li riteniamo … morti. La morte ha senso solo alla luce della risurrezione.
“IO SONO LA RISURREZIONE E LA VITA …”
I quattro Vangeli non raccontano l’evento della risurrezione; solo il Vangelo secondo Matteo ne fa un accenno, ma con il linguaggio apocalittico, cioè non narrativo Parla di buio a mezzogiorno, di rocce che si spaccano, del velo del tempio che si lacera da cima a fondo, di sepolcri che si aprono e di morti che ne escono e se ne vanno per la città … Hanno significati profondi, alludono al rinnovamento che sta avvenendo, ma non sono una cronaca. La Risurrezione è un mistero anche per loro. I discepoli parlano della loro esperienza degli incontri con il Risorto dopo l’evento.
Siamo ben lontani dalle presentazioni, belle ma ingenue, dei pittori che presentano il Cristo che esce dalla tomba; Gesù non è tornato indietro dalla tomba, bensì è andato oltre la tomba.
La Risurrezione di Cristo, dopo la sua morte e sepoltura, è il dato che fa la differenza e dona autorevolezza ed efficacia all’intera opera di Cristo Gesù. Infatti l’apostolo Paolo che sostiene che: «Se Cristo non è risorto, vana e la nostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati» (1 Cor 15,17). È la scommessa della fede.
Ci voleva proprio un «Uomo» per trascinare gli uomini in questa avventura; non sarebbero bastati gli angeli. Risuscitato per noi e con noi. È la primavera della vita che giunge dopo l’inverno del peccato. Un antico scrittore cristiano presenta così l’iniziativa di Cristo: “Uno spietato drago divorava chiunque gli capitasse a tiro. La sua fame era insaziabile. Cristo, per porre fine a questo massacro, si è offerto come boccone avvelenato e lo ha fatto morire … per risparmiare noi. La sua vita per la nostra. È così iniziata la nuova stagione per l’umanità, quella dei “risorti”.
TESTIMONI DEL RISORTO
Ai suoi discepoli Cristo non ha chiesto di essere suoi difensori d’ufficio, della risurrezione, capaci di fare proseliti, bensì “testimoni”. «Mi sarete testimoni» sono state le parole del Risorto. Testimone è colui che ha fatto esperienza di un fatto e ne può parlare.
La risurrezione di Gesù e la nostra sono intimamente legate. Se ne abbiamo fatto esperienza possiamo darne testimonianza, diversamente ne uscirebbe solo una lezione teoriche, che non convincerebbe nessuno.
“FAMMI VEDERE LA RESURREZIONE NELLA TUA VITA”
Un vecchio missionario aveva passato più di quarant’anni in Cina. Non aveva convertito alcuno ma, in compenso, ha imparato bene il cinese e passava pomeriggi interi a parlare con un vecchio cinese con il quale scambiava opinioni ed esperienze. Un giorno aveva parlato a lungo di Gesù, ne aveva raccontato la vita, spiegato il messaggio e descritto la tragica morte. Quando arrivò a parlare della risurrezione si trovò in imbarazzo a parlarne. L’anziano cinese lo ascoltò con pazienza e alla fine lo interruppe: “Tu mi hai raccontato tante cose che ho capito, ma poi ti sei trovato in difficoltà a spiegarmi la risurrezione; prova a farmela vedere con la tua vita”.
San Paolo ha fatto una forte esperienza della risurrezione di Gesù nella sua vita e ne ha colto le ricadute straordinarie sulla vita di fede: «Se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede … e voi siete nei vostri peccati» (1 Cor 15,14.17). senza la risurrezione di Cristo salta tutto della nostra fede.
Nella Lettera ai Romani (8,19-23) con una ardita immagine afferma addirittura la risurrezione del creato: «La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità – non per suo volere, ma per volere di colui che l’ha sottomessa – e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo».
Un commento bellissimo di Père Jean Lèvêque ci aiuta a chiudere questa nostra riflessione: “Se arrivassimo a fare silenzio, se riuscissimo per un istante ad allontanare il rumore delle nostre passioni o dei nostri desideri insoddisfatti, potremmo percepire come san Paolo, nel cuore del mondo e nel cuore della storia, un … gemito (…) è il gemito della creazione, distorta all’inizio a causa del peccato dell’uomo, sciava dei capricci dell’uomo, devastata, inquinata e resa sterile dall’egoismo degli uomini. C’è questa miseria originale della creazione deviata dall’uomo dal suo scopo, che il vecchio poeta della Genesi interpreta come una maledizione di Dio: «Maledetto il suolo per causa tua! … spine e cardi produrrà per te» (Gen 3,17a. 18a). M questo gemito della creazione non è disperato. La creazione geme tutte insieme, ma non si rassegna, poiché ha qualcosa da attendere e conserva la speranza. Il giorno della gloria, dove nell’uomo trasparirà interamente il figlio di Dio, il mondo avrà la sua parte di gloria e di libertà: vibrerà all’unisono della gloria dell’uomo in un modo che rimane misterioso.
La creazione geme, non di disperazione ma di impazienza, poiché sa, sente, che la sua schiavitù cesserà e che i suoi dolori partoriscono un mondo diverso, realmente fatto per l’uomo nell’amicizia di Dio.
SPERANZA E RESURREZIONE NEI SALMI
A parte il famoso passo del Libro di Giobbe (19,25-27): «Io lo so che il mio Vendicatore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere! / Dopo che questa mia pelle sarà distrutta, senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, e i miei occhi lo contempleranno non da straniero (…)».
Ci sono anche tanti altri testi biblici nei Salmi che alludono alla speranza di una vita che non sia esposta all’insulto della morte. L’AT non aveva l’idea di una vera e propria vita dopo la morte; per questo ci sorprendono le allusioni che fanno alcuni testi a riguardo della vita futura. Noi ci soffermiamo su alcuni accenni nel libro dei Salmi, che sono la preghiera di Israele. Ne elenchiamo alcuni nel riquadro. Cito il n. del Salmo e il versetto.
9,13 Abbi pietà di me, o Eterno! Tu che mi fai risalire dalle porte della morte
16,10-11 perché tu non lascerai la mia anima nello Sheol (…). Tu mi mostrerai il sentiero della vita; c’è abbondanza di gioia alla tua presenza, alla tua destra ci sono delizie in eterno.
21,4 Egli ti aveva chiesto la vita e tu gli hai dato lunghi giorni in eterno.
30,3 O Eterno, tu hai fatto risalire la mia anima fuori dallo Sheol, ma mi hai tenuto in vita perché io non scendessi nella fossa.
34,22 L’Eterno riscatta la vita dei suoi servi e nessuno di quelli che si rifugiano in lui sarà distrutto.
36,9 Poiché presso di te è la fonte della vita e, per la tua luce, noi vediamo la luce.
37,28 Poiché l’Eterno ama la giustizia e non abbandonerà i suoi santi; essi saranno salvaguardati in eterno.
49,15 Ma Dio riscatterà la mia anima dal potere dello Sheol, perché egli mi accoglierà.
56,13 Perché tu hai liberato la mia anima dalla morte e hai liberato i miei piedi dalla caduta, affinché io commini davanti a Dio nella luce dei viventi.
86,13 Perché grande è la tua benignità verso di me; tu hai salvato la mia anima dallo Sheol.
103,3-4 Egli perdona tutte le tue iniquità e guarisce tutte le tue infermità, riscatta la tua vita dalla distruzione (…).
107,13-14 Ma nelle loro avversità gridarono all’Eterno ed egli li salvò dalle loro angosce; li trasse fuori dalle tenebre e dall’ombra di morte e spezzò i loro legami.
116,8-9 Sì, perché tu hai liberato la mia vita dalla morte, i miei occhi dalle lacrime, i miei piedi dalla caduta. Io camminerò alla presenza dell’Eterno, sulla terra dei viventi.
118,18 L’Eterno mi ha punito duramente, ma non mi h lasciato in balia della morte.
139,7-8 Dove potrei andare lontano dal tuo Spirito o dove fuggire lontano dalla tu a presenza? Se salgo nei cieli là tu sei, se stendo il mio letto nello Sheol, ecco tu sei anche là.
CONTEMPLARE DIO GIÀ ORA
Salmo 26, 1.4.7-8.13-14
Lo sconosciuto orante, autore di questo Salmo, sta vivendo un momento di grande difficoltà. È l’ora del buio, del deserto, in cui Dio pare nascondere il suo volto. Ma il povero del Signore non desiste dalla preghiera, non rimette ogni cosa in discussione, non si lascia naufragare dallo sconforto; la preghiera si fa più tersa, fino a raggiungere il distacco della carità perfetta: “Il tuo volto, Signore, io cerco”.
ll Signore è mia luce e mia salvezza, di chi avrò timore?
Il Signore è difesa della mia vita, di chi avrò terrore?
Se contro di me si accampa un esercito il mio cuore non teme;
se contro di me divampa la battaglia anche allora ho fiducia.
Una cosa ho chiesto al Signore questa sola io cerco:
abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita,
per gustare la dolcezza del Signore ed ammirare il suo santuario.
Egli mi offre un luogo di rifugio nel giorno della sventura.
Mi nasconde nel segreto della sua dimora, mi solleva dalla rupe.
Ascolta, Signore, la mia voce.
Io grido: abbi pietà di me; rispondimi!
Il tuo volto, Signore io cerco.
Non nascondermi il tuo volto, non respingere con ira il tuo servo.
Son certo di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi.
Spera nel Signore, sii forte, si rinfranchi il tuo cuore e spera nel Signore
Il salmista parla esplicitamente di «casa del Signore», di «santuario», di «rifugio, dimora …». Anzi nell’originale ebraico questi termini indicano più precisamente il «tabernacolo» e la «tenda», ossia il cuore stesso del tempio, dove il Signore si svela con la sua presenza e la sua parola. Si evoca anche la «rupe di Sion», luogo di sicurezza e di rifugio, e si allude alla celebrazione dei sacrifici di ringraziamento.
«Il Signore è mia luce e mia salvezza …». La prima parte del Salmo è segnata da una grande serenità fondata sulla fiducia in Dio nel giorno tenebroso dell’assalto dei malvagi. Le immagini usate per descrivere questi avversari, segno del male che inquina la storia, sono di due tipi: da un lato i malvagi sono come belve che avanzano per ghermire la loro preda e straziarne la carne, ma inciampano e cadono. Dall’altro lato c’è il simbolo militare di un assalto compiuto da un’intera armata: una battaglia che divampa impetuosa, seminando terrore e morte. Nella Bibbia spesso i malvagi sono forze interiori dell’uomo.
Il comportamento dell’uomo giusto infastidisce, per suona come un monito nei confronti dei prepotenti e dei perversi. Il libro della Sapienza fa dire al malvagio che il giusto «è diventato per noi una condanna dei nostri sentimenti; ci è insopportabile solo al vederlo, perché la sua vita è diversa da quella degli altri e del tutto diverse sono le sue strade» (Sap 2,14-15).
«Il Signore è difesa della mia vita, di chi avrò paura?». Il salmista è consapevole che la coerenza crea isolamento e provoca disprezzo e ostilità. Tuttavia egli non è solo e il suo cuore conserva una sorprendente pace interiore, perché «il Signore è mia luce e mia salvezza, è difesa della vita» del giusto. Per questo può ripetere: «Di chi avrò paura … di chi avrò timore?… il mio cuore non teme …».
Pare di sentire san Paolo che dice: «Se Dio è con noi chi sarà contro di noi?» (Rm 8,31). Ma la quiete interiore, la fortezza d’animo e la pace sono un dono che si ottiene rifugiandosi nel tempio, ossi ricorrendo alla preghiera.
«Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco …». L’orante si affida alle braccia di Dio e il suo sogno è nelle sue parole: «Abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita». Là egli potrà «gustare la dolcezza del Signore», contemplare e ammirare il mistero divino, partecipare alla liturgia dei sacrifici ed elevare le sue lodo al Dio liberatore. Il Signore crea attorno al su fedele un orizzonte di pace, che lascia fuori lo strepito del male.
«Io grido: abbi pietà di me, rispondimi! Il tuo volto, Signore, io cerco». È il grido più alto dell’orante: vedere il volto di Dio. Vedere il volto della madre è nascere, vedere il volto di Dio è raggiungere la pienezza della vita.
«Sono certo di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi». Il Salmo parla della realizzazione del sogno più audace di ogni Israelita, di ogni credente: vedere, già sulla terra dei viventi, la bontà del Signore. È essere entrati nella vita di Dio, nella vita eterna, nella Risurrezione.

ESSERE RISORTI SIGNIFICA …
• cercare colui che non hai mai visto;
• conoscere colui che non è visibile;
• vedere colui che non puoi toccare;
• amare colui che da sempre ti ama
• conoscere colui che da sempre ti conosce
• dedicare te stesso a chi ti ha dedicato sé stesso;
• affidarti a colui che si è sempre affidato a te;
• consegnargli senza esitazione l’amore che da sempre ti chiede