LE RAGIONI DELLA FEDELTÀ

La fedeltà è fondamentale anche per la vita di oggi; ma fedeltà a chi …a che cosa … come?…

Fedeltà ha la stessa radice di fede e anche la stessa ricaduta sulla vita; per questo è entrata profondamente nella vita di ogni giorno. La fedeltà coniugale è quella “tipo”, ma ce ne sono tante altre: fedeltà all’amico, alla parola data, al proprio dovere, alla patria… Forse, la prima è la fedeltà a sé stessi.

Si dice anche: un ritratto fedele, un resoconto fedele, una traduzione fedele, l’interpretazione fedele di una musica; negli strumenti elettronici si parla di alta fedeltà (high fidelity)… Il cane è stato preso come icona della fedeltà, e gli esempi al riguardo si sprecano.

Parenti stretti della fedeltà sono, oltre la fede, la lealtà, la coscienziosità, la devozione, la deferenza, l’attaccamento, la dedizione, l’affidabilità … Suoi nemici sono, invece, infedeltà, tradimento, inaffidabilità, slealtà, diserzione, abbandono …

L’infedeltà è come l’ombra che segue la fedeltà oscurandola; anch’essa ha una grande ricaduta sulla vita sociale. Proviamo ora ad esaminare alcuni volti di questa fedeltà/infedeltà.

Fedeltà di sposi

Partiamo dal caso classico delle fedeltà, quella dei coniugi. Scegliendosi si sono giurati fedeltà. Il tempo può aver giocato a favore o a sfavore di questo impegno assunto. Questa fedeltà non può esaurirsi nell’evitare il tradimento fisico (adulterio).  Il calo di stima è forse il vero nemico della fedeltà coniugale. Si può stare insieme per anni … perché non si ha il coraggio di rompere; ma è venuta meno la fedeltà del cuore, la stima, l’apprezzamento. Si rimane insieme per forza d’inerzia. Per sopravvivere ci si riempie di interessi diversi e di altri impegni. Ufficialmente si è insieme ma con il cuore si è lontani.

Era una mattinata movimentata, quando un anziano gentiluomo di un’ottantina di anni arrivò per farsi rimuovere dei punti da una ferita al pollice. Disse che aveva molta fretta perché aveva un appuntamento alle 9,00. Mentre mi prendevo cura di lui, gli chiesi se per caso avesse un altro appuntamento medico dato che aveva tanta fretta. L’anziano signore mi rispose che doveva andare alla casa di cura per far colazione con sua moglie. Mi informai della sua salute e lui mi raccontò che era affetta da tempo dall’Alzheimer. Gli chiesi se per caso la moglie si preoccupasse nel caso facesse un po’ tardi. Lui mi rispose che lei non lo riconosceva già da 5 anni.

Ne fui sorpreso, e gli chiesi: “E va ancora ogni mattina a trovarla anche se non sa chi è lei?”.

L’uomo sorrise dicendo: “Lei non sa chi sono, ma io so ancora perfettamente chi è lei”.

Dovetti trattenere le lacrime… Avevo la pelle d’oca e pensai: “Questo è il genere di amore che vorrei nella mia vita”.

Un fatto come questo non ha bisogno di commenti. Il vero amore non è né fisico né romantico. Il vero amore è l’accettazione di tutto ciò che è, è stato, sarà e non sarà.

Fedeltà di amici

Gesù diceva: «Non c’é amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» Gv 15,13). L’amicizia è un legame che si crea nella vita, che non va confuso con simpatia, cameratismo, conoscenza, frequentazione … Il Libro dei proverbi (27,10) scrive: «Chi trova un amico trova un tesoro». Questo per dire con quale premura deve essere difesa l’amicizia. Un detto descrive così l’azione dell’amicizia sulle persone: “Amicitia aut pares au facit!” (l’amicizia o ci trova uguali o ci rende tali). Troppo facilmente si dà il titolo di amico e troppo facilmente glielo si toglie. Segno che non si trattava di una vera amicizia.

La vicenda di due ragazzi americani, invece, potrebbe essere una luminosa icona di questa amicizia vera.

Il più vecchio si chiamava Frank e aveva vent’anni; il più giovane Ted e ne aveva diciotto. Amicissimi fin dalle elementari, insieme decisero di arruolarsi nell’esercito. Furono fortunati e finirono nello stesso battaglione. Il battaglione fu mandato sul fronte caldo della guerra. Una guerra terribile tra le sabbie infuocate del deserto. Per qualche tempo i due rimasero negli accampamenti protetti dall’aviazione, poi una sera venne l’ordine di avanzare in territorio nemico. Avanzarono per tutta la notte, sotto la minaccia di un fuoco infernale. Il mattino il battaglione si riunì. Ma Ted non c’era. Frank lo cercò dappertutto, tra i feriti, fra i morti. Trovò il suo nome nell’elenco dei dispersi.
Si presentò al comandante: “Chiedo il permesso di andare a riprendere il mio amico”, disse.

“E’ troppo pericoloso”, rispose il comandante. “Ho già perso il tuo amico. Perderei anche te. Là fuori stanno sparando”. Frank partì ugualmente. Dopo alcune ore trovò Ted ferito mortalmente. Se lo caricò sulle spalle. Ma una scheggia lo colpì. Si trascinò ugualmente fino al campo.

“Valeva la pena morire per salvare un morto?”, gli gridò il comandante. “Sì”, sussurrò, “perché prima di morire, Ted mi ha detto: Frank, sapevo che saresti venuto”.

Le parole di Gesù che abbiamo citato sopra sarebbero il più bel commento di questo episodio. A fronte di tante cosiddette amicizie, che hanno un’esistenza di corto respiro, questa è un vero capolavoro di fedeltà.

Fedeltà di fratelli

I fratelli sono legati da vincoli straordinari: stesso grembo, stesso sangue, stesso habitat per molti anni e poi … A volte segue un legame di fedeltà sorprendente per una vita, ma non sempre. A volte, l’eredità che dovrebbero dividere li divide. Altre volte una parola o un gesto fraintesi li divide per decenni, talvolta per tutta la vita. Ma è meravigliosa la fedeltà che può esistere tra loro. Ecco un esempio.

Due fratelli, uno scapolo e l’altro sposato, possedevano una fattoria dal suolo fertile, che produceva grano in abbondanza. A ciascuno dei due fratelli spettava la metà del raccolto. All’inizio tutto andò bene. Poi, di tanto in tanto, l’uomo sposato cominciò a svegliarsi di soprassalto durante la notte e a pensare: “Non è giusto così. Mio fratello non è sposato e riceve metà di tutto il raccolto. Io ho moglie e cinque figli, non avrò quindi da preoccuparmi per la vecchiaia. Ma chi avrà cura del mio povero fratello quando sarà vecchio? Lui deve mettere da parte di più per il futuro di quanto non faccia ora. E’ logico che ha più bisogno di me”.

E con questo pensiero, si alzava dal letto, entrava furtivamente in casa del fratello e gli versava un sacco di grano nel granaio. Anche lo scapolo cominciò ad avere questi attacchi durante la notte.

Ogni tanto si svegliava e diceva tra sé: “Non è affatto giusto così. Mio fratello ha moglie e cinque figli e riceve metà di quanto la terra produce. Io non ho nessuno oltre a me stesso da mantenere. E’ giusto allora che il mio povero fratello che ha evidentemente molto più bisogno di me riceva la stessa parte?”. Si alzava dal letto e andava a portare un sacco di grano nel granaio del fratello.

Una notte si alzarono alla stessa ora e si incontrarono ciascuno con in spalla un sacco di grano!

Molti anni più tardi dopo la loro morte, si venne a sapere la loro storia. Così, quando i loro concittadini decisero di costruire un tempio, essi scelsero il punto in cui i due fratelli si erano incontrati, poiché secondo loro non vi era un luogo più sacro di quello in tutta la città.

La fedeltà dei due fratelli sopra citati è straordinaria: è fedeltà di fratelli. Era giusto che diventasse il posto per un tempio.

La fedeltà di Dio

Le fedeltà di Dio è quella che fonda le altre fedeltà.  La liturgia, la teologia, le sante Scritture ne parlano a dismisura. Quella che vorremmo sottolineare qui è il motivo che sta a monte della fedeltà di Dio. Egli è fedele a tutte le sue creature e la sua fedeltà lo ha spinto a gesti che noi facciamo fatica a capire: Incarnazione, Passione e morte e Risurrezione. La sua fedeltà non è condizionata alla nostra risposta; lo è anche quando non è capita o addirittura rifiutata. È il massimo della fedeltà; è l’icona della fedeltà.  Noi viviamo e ci salviamo perché egli è “fedele” a sé stesso e a noi. Nel racconto che segue ho voluto esprimere il perché egli ci è fedele.

C’era una pacifica tribù che viveva in pianura ai piedi delle Ande. Un giorno, una feroce banda di predoni, che aveva il covo nascosto sulle vette delle montagne, attaccò il villaggio. In mezzo al bottino che portarono via c’era anche un bambino della loro tribù. La gente di pianura non sapeva come fare a scalare la montagna. Non conoscevano alcuno   dei sentieri usati dalla gente di montagna, non sapevano come ritrovare le loro tracce su quel terreno scosceso. Ciò nonostante mandarono i migliori guerrieri, sulla montagna per riportare a casa il bambino.
Gli uomini cominciarono la scalata prima in un modo, poi in un altro. Tentarono un sentiero, poi un altro. Dopo diversi giorni di duri sforzi, erano riusciti a fare solo un centinaio di metri su per la montagna. Sentendosi impotenti, gli uomini di pianura si diedero per vinti e si prepararono a tornare al villaggio giù in basso.

Mentre stavano per fare marcia indietro videro la madre del bambino che veniva verso di loro. Si accorsero che stava scendendo dalla montagna che loro non erano riusciti a scalare. E poi videro che portava il bambino in una sacca dietro le spalle. Uno degli uomini del gruppo la salutò e disse: «Non siamo riusciti a scalare questa montagna. Come hai fatto tu a riuscirci quando noi, che siamo gli uomini più forti del villaggio, non ce l’abbiamo fatta?». La donna scrollò le spalle e disse: «Non era il vostro bambino!».

Era bastata una semplice espressione per spiegare la fedeltà della donna: “Non era il vostro bambino”. La fedeltà di Dio sta su queste parole: “Sono figli e lo saranno sempre” Dio mai ritornerà sui suoi passi perché “è fedele sempre”.

La fedeltà a noi stessi

In ultima analisi è ancora la fedeltà a Dio. Ciascuno di noi è dotato di un patrimonio e depositario di un progetto: pensiamo alla parabola dei talenti (Mt 25. 14-30). Non è l’opinione degli altri su di noi, bensì il progetto che Dio ha su di noi e che si esprime nel patrimonio che ci ha affidato. Si dice che nell’esame ultimo ci sarà chiesto non perché non siamo diventati scienziati, scopritori di qualcosa o nemmeno perché non siamo diventati come quel santo o quell’altro, ma perché non siamo diventati noi stessi. Per spiegarmi ricorro a due esempi: il vecchio Eleazaro dei Maccabei (2Mac 6,1-2.18-28 e il pastore luterano Dietrich Bonhoeffer.

Il primo in un momento critico di Israele, vessato da Antioco IV Epìfane, viene obbligato, sotto pena di morte, a mangiare carne proibita. Un amico gli offre la possibilità di cavarsela, sostituendo la carne proibita con una consentita dalle leggi di Israele. Il vecchio rifiuta questa via d’uscita non volendo in quel modo essere di scandalo ai giovani, che lo conoscevano e lo stimavano.

Il secondo nel momento dell’arroganza nazista imposta da Hitler, scelse la via dell’opposizione aperta. Dietrich è un pastore molto intelligente e stimato. La sua opposizione disturba il regime, che lo prende di mira. Non potendo restare a Berlino si trasferisce a Londra per seguire e sostenere le comunità evangeliche. Intraprese viaggi in Svizzera, Svezia, Norvegia e Italia per preparare un eventuale governo. Tornò in Germania e si unì a un gruppo di amici che progettavano un attentato al Fuhrer per fermarlo. Diceva: “Quando un pazzo lancia la sua auto sul marciapiede, io non posso, come pastore, contentarmi di sotterrare i morti e consolare le famiglie. Io devo, se mi trovo in quel posto, saltare e afferrare il conducente al suo volante”. Venne scoperto e arrestato. Per l’accusa di “disfattismo in seno alle forze armate” e a causa dell’esenzione dal servizio militare, fu condannato a morte. Venne impiccato nel campo di concentramento di Flossenbürg all’alba del 9 aprile 1945, pochi giorni prima della fine della guerra, per ordine di Hitler.

I motivi dell’infedeltà

È interessante, a questo punto, cercare anche le ragioni dell’infedeltà. In una società dai cambiamenti veloci e dalle relazioni deboli, “essere fedeli” sembra un comportamento fuori moda. Il tradimento è sempre più accettato, perché?  Per molti oggi l’infedeltà è vista come l’espressione della propria libertà, dell’autorealizzazione, mentre la fedeltà appare come segno di conformismo, di debolezza e di tradimento del proprio io. Si può essere fedeli per tanti motivi: scelta, convinzione radicata, sacrificio, comodità … Resta comunque singolare che uno dei valori più antichi del mondo, la pietra miliare della vita dei nostri padri, sia finita oggi nella sfera della precarietà. Che cosa ci ha trasformati da fedeli a possibili – e tutto sommato scusabili – infedeli? Nella società di oggi, caratterizzata da mutamenti veloci e relazioni fragili, parlare di fedeltà ha ancora un senso? E – domanda delle domande – è possibile essere liberi e nello stesso tempo rimanere fedeli?

Le risposte di sociologia e psicologia

A questi quesiti rispondono dei sociologi, partendo da un punto preciso: nell’età moderna la fedeltà non è più un valore sociale indispensabile alla conservazione di una società, ma diventa una scelta che riguarda l’individuo e la sua sfera privata: “Nelle società antiche – affermano – onore, fedeltà coniugale, lealtà tra amici, obbedienza al proprio signore erano i valori su cui si basava il senso di appartenenza e la coesione tra gli individui. Il tradimento era il più esecrabile dei mali.

L’uomo moderno, sostengono i sociologi, rispetto all’uomo del passato è costantemente diviso tra due esigenze uguali e contrarie: “Far parte di una comunità, di un gruppo, condividerne i valori e nello stesso tempo separarsene per marcare la propria unicità e individualità. In questa lotta di opposti, il tradimento è sempre in agguato”.

Allo sfuocarsi dei confini tra fedeltà e tradimento gioca molto la percezione che l’uomo di oggi ha di sé. Nel nostro passato, ad es., per un contadino, che nasceva in una comunità, le scelte possibili erano poche, quasi predeterminate. Oggi le opzioni diventano ipoteticamente infinite. L’individuo si scopre, come diceva Pirandello, “uno, nessuno e centomila”, e ha a disposizione diverse identità, spesso in conflitto tra di loro. Difficile rimanere uguali nel tempo. “Oggi sono così, credo e penso in un determinato modo, domani potrei essere diverso, potrei avere altre esigenze” rispondeva una giovane intervistata.

La possibilità di autodeterminarsi, che è allo stesso tempo croce e delizia nel senso che è la scoperta della propria libertà, diventa anche responsabilità delle scelte che si devono fare. La base su cui alla fine poggia la vita è la possibilità di scegliere in ogni istante tra lealtà e tradimento.

 A rendere difficile la fedeltà, non sono solo fattori interni ma anche spinte e condizionamenti che vengono dalla società. Così nel campo dei consumi, siamo clienti umorali e infedeli: non ci affezioniamo agli oggetti, cambiamo con facilità marca e prodotto, siamo diventati l’incubo per il mercato che non sa più come prenderci. E naturalmente l’instabilità oggi tocca anche e soprattutto i rapporti interpersonali. Così anche la flessibilità nel lavoro e il frequente ricorso a contratti a termine che costringono a continui mutamenti di lavoro e di colleghi e spesso anche di casa e vicinato.

È già difficile scegliere, in più rimane sempre il dubbio che nessuna scelta concreta sia in assoluto la migliore. A questo punto la cultura di massa ci suggerisce mille varianti per il cambiamento. Se le chance ci sono, perché precludersi la possi-bilità di cambiare? E così le nostre scelte diventano sempre più di corto respiro e soprattutto sempre meno responsabilizzanti. Siamo di fatto in una “situazione a fedeltà limitata”. Pirandello diceva che siamo come comparse che entrano in scena senza aver mai provato la parte: è questo il nostro limite e la nostra grandezza.  

Due fratelli vivevano una grande tenuta ereditata dai genitori. John il più vecchio e Robert il più giovane. Avevano le loro case separate, ma non avevano ritenuto di dover segnare dei confini. Vissero così per lunghi anni, condividendo anche gli strumenti di lavoro. Ad un certo punto si trovarono però divisi sulla scelta dei prodotti da coltivare per il mercato locale. Litigarono e finirono per non parlarsi più, anzi il più giovane dei due deviò il corso del piccolo fiume che scorreva vicino, per creare una vistosa separazione. Adesso erano divisi su tutto.

Alla casa del più anziano dei due, un giorno si presentò un carpentiere in cerca di lavoro. “Bene – disse quello dei due fratelli – lei arriva giusto a proposito. Avrei bisogno che lei mi costruisse una parete di legno alta due metri attorno alla mia casa, in modo che il mio fratello non riesca nemmeno più a vedermi”. “Capisco” rispose il carpentiere. John indicò al carpentiere un grosso giacimento di assi già pronte all’uso e aggiunse: “Cominci subito il suo lavoro; io devo andare in città per affari. Ci vedremo al mio ritorno.

Quando la sera tornò rimase sconcertato per quello che vedeva: il carpentiere non aveva costruito la palizzata di due metri, bensì un ponte che portava al di là del corso d’acqua, riunendo così le due proprietà. John non si era ancora ripreso dallo choc, quando Robert attraversò di corsa il ponte e abbracciò il fratello: “Che magnifica idea hai avuto, John, dopo quello che io ti ho combinato!”. Mentre i due fratelli si paravano il carpentiere stava raccogliendo i suoi attrezzi per andarsene. “No, non se ne vada disse il maggiore – ho alcuni altri lavori da farle fare”. Rispose il carpentiere: “Mi spiace, ma ho altri ponti da costruire”.

Quel “carpentiere” aveva una straordinaria capacità di costruire ponti dove si verificano fratture. Oggi dovrebbe avere una straordinaria capacità di ricostruire relazioni interrotte.