Si é stati perseguitati per secoli dall’immagine del Dio che punisce implacabile. Ha rappresentato un incubo per l’uomo ma anche un torto inflitto a Dio. Perché?
Il termine castigare viene da “casto” e richiama tutti gli espedienti che hanno lo scopo di correggere, purificare. Il termine però ha assunto una valenza negativa, punitiva: lo sfogo di chi è stato offeso dal comportamento di un altro. Se trasferiamo questo in Dio, avvertiamo subito una contraddizione: Dio è amore (1Gv 4,8) e nella punizione non c’è amore, ma solo sfogo.
La Bibbia ricorre spesso a termini come castigare, castigo, punizione, pena … Si tratta di termini arcaici nei quali il castigo era un pareggiare i conti con chi lo aveva meritato. Nella pedagogia cristiana ricorrono parole che meritano di essere ripensate. Un esempio classico lo abbiamo nell’atto di dolore più conosciuto:
“… perché peccando ho meritato i vostri castighi …”. Cosa si nasconde dietro ad espressioni come queste? Che immagine di Dio c’è? Tanti prendono le distanze da un Dio così.
LA PAROLA ALLA BIBBIA
Non è difficile ricordare tanti passi del Primo Testamento che parlano di castighi sia individuali che collettivi. È necessario, però, chiarire subito una cosa: nella lingua ebraica non c’è distinzione tra il permettere e il fare. Un esempio noto e facile da decifrare: a proposito delle piaghe d’Egitto Dio avrebbe detto: «Io indurirò il cuore del faraone e moltiplicherò i miei segni (castighi) e i miei prodigi nel paese d’Egitto…» (Es 7,3). Sarebbe più corretto tradurre: “Io permetterò che il cuore del faraone si indurisca …”.
È curioso anche come il Salmo 135 racconta le vicende di Israele abbinando a interventi duri di Dio il ritornello: «Perché eterna è la sua misericordia». Sono eventi nei quali Jhwh sembra essere intervenuto a piedi uniti contro i popoli nemici di Israele: Percosse l’Egitto nei suoi primogeniti … Travolse il faraone e il suo esercito … Percosse grandi sovrani … Seon, re degli Amorrei … Og, re di Basan …». È ovvio che la Bibbia non ci presenta un Dio che elimina alcuni per favorire altri. Gesù è andato ben oltre nell’interpretare gli eventi naturali. Pensiamo al caso del cieco nato (Gv. 9). Alla domanda che gli pongono i discepoli: «Maestro, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?», risponde: ««Né lui ha peccato, né i suoi genitori; ma è così, affinché le opere di Dio siano manifestate in lui». Nessun evento doloroso è voluto da Dio, anzi egli interviene per dar loro un senso.
GESÙ E LE PUNIZIONI
Gesù si presenta sulla scena religiosa del suo tempo con dichiarazioni che non ammettono dubbi: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mc 2,17). La preoccupazione di Gesù è stata di tener fuori Dio dai giochini di delitto e castigo cari alla religiosità del tempo. Assicura di non essere venuto per punire e condannare, ma per salvare: «Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo» (Gv 12,47).
Un giorno a Gesù fu riportata la notizia del crollo di una torre, che aveva causato diciotto morti (Lc 13,4). Probabilmente chi l’aveva riferito vi aveva messo una punta di malizia, al che Gesù aveva risposto: «Quei diciotto, sopra i quali rovinò la torre di Sìloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme?». Dio non c’entrava con quel crollo e il Maestro ricava subito il messaggio dall’avvenimento: «No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». Gli eventi hanno una loro logica, Dio non li provoca ma li usa per riportare l’uomo nella logica della misericordia.
Parecchie volte il Maestro parla del fuoco della Geenna. Non intendeva l’inferno, ma la discarica di Gerusalemme, nella valle dell’Hinnon dove il fuoco sempre acceso bruciava le scorie, lasciando intatti i metalli. Gesù allude a un fuoco capace di bruciare le scorie della vita per lasciare la realtà purificata. Questo fuoco è la sua parola, che purifica e fa rivivere.
LA GIUSTIZIA DI DIO NON ESIGE LA PUNIZIONE
C’è una radicale differenza tra la giustizia umana e la giustizia di Dio: la prima, quando funziona correttamente, dà a ciascuno quello che gli spetta (assoluzione o condanna), ma non cambia il cuore della persona. Lo scopo della punizione dovrebbe essere quello di rieducare chi ha fatto il male; ma non sempre ottiene questo risultato.
La giustizia di Dio, invece, interviene per rendere giusto, cambiando il cuore di colui che non lo è. Solo Dio può amministrare questa giustizia che dà la vita, perché ha il potere di agire sul cuore delle persone attraverso gli eventi. Come funziona questa giustizia che cambia il cuore? Questo intervento di giustizia nel non ha lo scopo di far pagare il debito per il danno provocato, ma introduce nel mondo di Dio. Com’è Dio e come agisce contro il male? È nella vicenda e nelle parole del Figlio e soprattutto nella sua morte e risurrezione, che Dio ci ha rivelato chi è e come opera.
Il momento più forte è la passione. Il Vangelo secondo Luca la chiama theorema, che significa letteralmente “spettacolo”. È un momento fortemente drammatico: la cattiveria umana sta esprimendo il massimo di sé con un processo burla e un’esecuzione capitale infame. Dio come risponde? Lì Dio recita a volto scoperto, senza le maschere che gli abbiamo messo noi. Gesù lo aveva annunciato da tempo: «Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32).
L’uomo ha sempre pensato di offrire a Dio qualcosa per compensare i propri peccati; ma è stato Dio che, nel Figlio, si è offerto all’uomo per chiudere il conto. Non abbiamo nulla da pagare; ha pagato lui per tutti.
CASTIGHI O PREMI … PERCHÉ?
Dietro il castigo o il premio che cosa si nasconde: amore, indifferenza, antipatia, fanatismo …? Le cose cambiano radicalmente secondo le motivazioni che le guidano. In termini più quotidiani, ci sono persone (genitori, educatori, insegnanti, sacerdoti, ecc.) che sono rigidissime e intolleranti, non per amore della giustizia, ma per placare una loro insoddisfazione interiore. Nel racconto seguente ne abbiamo un esempio chiaro.
QUANDO GLI OCCHI SONO GUIDATI DAL CUORE
Una volta il ragazzo del collegio commise una grande infrazione. Tutti si aspettavano che venisse punito in modo esemplare, ma passarono tre mesi senza che il direttore dicesse nulla al riguardo. Allora un gruppo di ragazzi protestò: “Direttore, non si può ignorare quanto è accaduto. Dopo tutto Dio ci ha dato gli occhi per vedere”. Il direttore replicò: “È vero, ma Dio ci ha anche dato le palpebre per chiuderli”. (da un racconto di Pino Pellegrino)
Alcuni decenni fa circolavano libretti per adolescenti con racconti orripilanti di giovani che erano stati soffocati dall’ostia consacrata per averla ricevuta indegnamente… altri che avevano avuto malattie ripugnanti per aver abusato di “certe” cose … altri ancora erano perseguitati da presenze diaboliche per aver mentito … Questi macabri moralizzatori scomparvero improvvisamente non senza aver creato un deserto di paure, che hanno allontanato dalla fede i giovani di allora.
E L’IRA DI DIO?
L’espressione “l’ira di Dio” nella teologia biblica indica la radicale e incontenibile ira di Dio contro il male (peccato), non contro il peccatore. Già nel momento del Decalogo, il Signore mette in guardia: «Perché io, il Signore sono un Dio geloso…» (Es 20,5). Geloso non in difesa di sé o dei suoi privilegi: geloso che la libertà dell’uomo, sua creatura, devastata dalla forza del male.
Il libro dell’Apocalisse descrive l’indignazione di Dio che si manifesta attraverso le sette coppe della sua ira, ma si placa nella sconfitta del male. Se «Dio è amore» (1 Gv 4,8) anche la sua ira è manifestazione del suo amore per i giusti, i deboli, gli amanti della vita.
Proponiamo il Salmo 89 (88) come esempio della fedeltà di Dio, che rimane nonostante l’infedeltà dell’uomo. Si riferisce alla promessa fatta da Jhwh a Davide e alla sua discendenza. I discendenti di Davide hanno abbandonato la fedeltà, ma Dio porta a termine il suo impegno e farà nascere dalla sua discendenza il Re, che regnerà per sempre, Gesù di Nazareth.
DIO RIMANE FEDELE ANCHE QUANDO METTE ALLA PROVA
Dal momento che il Salmo parla abbondantemente di mura abbattute e di fortezze diroccate fa pensare ad una sequenza di rovesci militari subiti da Israele dalle armate assire o egiziane sembrerebbe a causa delle sue infedeltà a Dio. Invece …
Il Salmo si apre con il ricordo delle promesse fatte da Jhwh a Davide e alla sua discendenza (vv 4-5) «Ho stretto un’alleanza con il mio eletto, ho giurato a Davide mio servo: stabilirò per sempre la tua discendenza, ti darò un trono che duri nei secoli». Poi il Salmo continua inneggiando alla potenza di Dio (vv 6-20): «I cieli cantano le tue meraviglie, Signore, la tua fedeltà nell’assemblea dei santi …».
Ritorna l’impegno di Jhwh con l’alleanza: «Ho trovato Davide, mio servo, con il mio santo olio l’ho consacrato; la mia mano è il suo sostegno…». Infine lo sconcerto di fronte alla catastrofe che si è abbattuta su Israele nonostante le promesse di stabilità che aveva avuto.
I discendenti di Davide, imbelli, arroganti e ingordi, hanno dimenticato l’alleanza che il loro capostipite aveva stipulato con Jhwh, ma Dio non la mette in discussione:
«Se i suoi figli abbandoneranno la mia legge e non seguiranno i miei decreti (…) punirò con la verga il loro peccato (…) ma non gli toglierò la mia grazia e alla mia fedeltà non verrò mai meno».
Allora Dio permise che lo splendore di quello che era stato costruito venisse distrutto: «Ma tu lo hai respinto e ripudiato, ti sei adirato contro il tuo consacrato; hai rotto l’alleanza con il tuo servo, hai profanato nel fango la sua corona. Hai abbattuto tutte le sue mura / e diroccato le sue fortezze; tutti i passanti lo hanno depredato, è divenuto lo scherno dei suoi vicini». Era stato il modo con cui Jhwh aveva voluto riportarli nell’alleanza.
Segue l’invocazione pressante perché Dio ponga fine a quel degrado: «Fino a quando, Signore, continuerai a tenerti nascosto, arderà come fuoco la tua ira? (…) Dove sono, Signore, le tue grazie di un tempo, che per la tua fedeltà hai giurato a Davide?»
Il Salmo termina con un grido si speranza («Benedetto il Signore in eterno. Amen, amen) quasi il protagonista avesse capito il senso di quella sofferenza.