La storia umana era iniziata con le più affascinanti premesse. Il Creatore aveva messo nell’uomo e nella donna il suo “alito immortale”, aveva preparato un habitat meraviglioso (l’Eden); aveva benedetto la coppia umana e le aveva affidato la gestione del creato Alla coppia umana, benedicendola (Gen 1,28), aveva affidato la missione, quella di ampliare la famiglia degli uomini («crescete e moltiplicatevi»). Il tutto era straordinariamente espresso nell’icona della familiarità di Dio con la coppia: «Dio passeggiava nel giardino alla brezza del giorno» (Gen 3,8).

L’idillio durò poco, perché l’uomo scelse un percorso diverso per la sua vicenda. Le strade di Dio e dell’uomo si divaricarono. Dio non si rassegnò e cominciò a pensare e a preparare un progetto alternativo per riprendere il dialogo interrotto. Erano i primi passi dell’Incarnazione.

La prima incarnazione: La parola di Dio

Per ricucire il dialogo interrotto Dio ha cominciato a parlare all’uomo con parole umane. Il Concilio Ecumenico Vaticano II nella Costituzione Dei Verbum parla della prima incarnazione di Dio, la Rivelazione. Afferma; “Con questa Rivelazione infatti Dio invisibile nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici (Es 33,11) e si intrattiene con essi (Bar 3,38), per invitarli e ammetterli alla comunione con sé. Questa Rivelazione comprende eventi e parole …”.

Il Dio di Israele è l’unico Dio, tra gli dèi, che parli. Parla con parole umane, perché gli uomini possano capirlo. Ha parlato ad Abramo, facendo con lui un patto di alleanza e promettendogli una discendenza numerosa come le stelle del cielo e i granelli di sabbia sulla spiaggia del mare; ha parlato a Mosè dal roveto che bruciava senza consumarsi, affidando a lui il compito di guidare Israele verso la libertà. Inseguito ha parlato attraverso i profeti, che egli sceglieva da qualsiasi ceto sociale, investendo la loro parola della forza del messaggio che voleva comunicare; e continuò a parlare attraverso uomini saggi …

Non si è trattato di interventi occasionali, ma di un vero e proprio “dialogo” che egli intendeva instaurare con l’umanità. Dio ha incarnato la sua parola nella parola degli uomini di quel tempo e di quella cultura semitica. È stato il primo passo dell’Incarnazione e instaurava un rapporto unico con la divinità: «Questa grande nazione è il solo popolo savio e intelligente! Infatti quale ha gli dèi così vicini a sé, come il Signore, nostro Dio, è vicino ogni volta che lo invochiamo?» (Dt 4,7).

Un Evento annunciato

Quando Gesù Cristo venne sulla Terra per vivere in mezzo agli uomini avvenne l’evento più grande della storia: la manifestazione di Dio nella carne. Tutta la storia di Israele Tendeva questo momento straordinario; le Scritture insegnano che Dio aveva pianificato l’Incarnazione del Figlio prima ancora della fondazione del mondo: «Egli fu predestinato già prima della fondazione del mondo» (1Pt 1,20). L’autore della Prima lettera di Pietro dice che è stata una scelta spontanea del Figlio (Eb 10,5):

«Entrando nel mondo Cristo disse: Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, ma mi hai preparato un corpo; non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: “Ecco, vengo” (nel rotolo del libro è scritto di me) “per fare, o Dio, la tua volontà”».

In Isaia 9,5 c’è un annuncio preciso che è una profezia significativa al riguardo:

«Poiché un bambino ci è nato, un figlio ci è stato dato, e il dominio riposerà sulle sue spalle; sarà chiamato Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre eterno, Principe della pace …»

A questo punto una serie di domande, a pioggia, arrivano a scandagliare l’evento. Perché le cose sono avvenute in modo così cruento? Chi le ha volute? Non potevano risolversi diversamente, visto che Dio è onnipotente? Non poteva mandare semplicemente un angelo? Terremo presenti queste domande e risponderemo quando avremo a disposizione gli elementi.

Una realizzazione oltre le attese

Il IV Vangelo presenta la cosa con un’espressione semplice e straordinaria: «E il Verbo si è fatto carne e ha posto la sua tenda tra noi» (Gv 1,14). Solitamente le nostre traduzioni dicono “venne ad abitare”, ma l’autore del IV Vangelo, che scriveva quell’inno, aveva ancora nell’orecchio il suono della lingua delle origini, l’ebraico, dove eskenosen (skn) è la tenda, il luogo della shekinà, della presenza costante di Dio. Il Verbo (verbum in latino significa parola) è la Parola che Dio da sempre dice ed è il Figlio, immagine perfetta del Padre, quindi eterna e immutabile. Il verbo che segue «si è fatto» dice che il Verbo è entrato nella mutevolezza umana (il greco eghéneto) dice mutevolezza e successione, cose incompatibili col Verbo che è eterno perché «presso Dio», che è Dio.

L’espressione del IV Vangelo potrebbe significare che il Verbo si è fatto nomade (ha posto tra noi la sua tenda) oppure che si è fatto tenda per noi. Dio non ha risposto semplicemente riparando i pezzi rotti, ma facendo ripartire tutto il progetto, completamente rinnovato. E in tutto questo il Signore si è coinvolto personalmente.

La parola “carne”, secondo l’uso ebraico, indica l’uomo nella sua integralità, tutto l’uomo, ma sotto l’aspetto della sua fragilità, della sua povertà e limitatezza. Questo per dirci che la salvezza portata dal Dio fattosi carne in Gesù di Nazareth viene incontro all’uomo nella sua realtà concreta e in qualunque situazione si trovi». Ecco perché Dio non ha mandato un angelo per risolvere il problema. Gli angeli sono spiriti e non possono capire quello che prova l’uomo: fame, sete, stanchezza, incomprensione, umiliazione, solitudine … Gesù l’ha fatto calandosi, con un salto incredibile, nella povertà dell’uomo. Solo così poteva essergli vicino.

Il Verbo di Dio si è fato uomo: un uomo di razza e di religione ebrea. È cresciuto e maturato dentro gli angusti confini della Palestina, nel ristretto ambiente umano di un paesino sperduto. Non sapeva né il greco, né il latino, ma parlava l’aramaico con l’accento della Galilea. Ha sentito l’oppressione delle forze di occupazione del suo paese, ha conosciuto la fame, la sete, la solitudine, le lacrime per la morte dell’amico, la gioia dell’amicizia, la tristezza, la paura, le tentazioni, lo spavento di fronte alla morte. È passato attraverso la notte oscura dell’abbandono di Dio.

Ecco perché teologi del calibro di san Tommaso e sant’Agostino sono arrivati al paradosso, parlando del peccato originale, di arrivare a parla di “felix culpa”: “Beata colpa che ci ha meritato un tale Salvatore” O felix culpa, quæ talem ac tantum meruit habere Redemptorem! , che sarebbe come dire: “Meno male c’è stato il peccato e tutto è ripartito su basi nuove”.

In altre parole, Dio non si è limitato a mettere una pezza a quello che si era rotto, ma ha fatto ripartire tutto su una base nuova, che faceva affidamento sopratutto sulla fedeltà di Dio.

IL “BAMBINO” SI È PERSO PER TROVARCI

Quando un bambino si perde va a finire dove non è di casa. Sì, a Natale Dio si è perduto – non solo come un bambino, ma da bambino – là dove non era “di casa”. Non è rimasto nella chiusa beatitudine del suo cielo o dentro lo spazio della nostra devozione, ma si è perduto per i piccoli e i poveri, per coloro che sono malati e in lutto, per i peccatori, per coloro che noi riteniamo lontani da Dio, di cui pensiamo che non abbiano niente a che fare con lui. Dio si è perduto là dove si è perduto il figliol prodigo, lontano dalla casa paterna, per poi tornare dal Padre, in lui e con lui. Dio si è perduto come un bambino, solo non si è trattato di un errore, ma dell’azione più divina che Dio potesse fare. Dio è il Dio di tutti o non è Dio. Dio è il Dio dei piccoli e dei lontani o non è Dio. Troviamo Dio là dove si è “perduto” o non lo troviamo affatto. “Fatti trovare dove tu, Dio, ti sei perduto come un bambino. Sì, lascia che diveniamo noi stessi bambino, nel quale tu ti perdi per gli altri, per tutti!”. Mons. Klaus Hemmerle

Che cosa è cambiato con quella nascita?

L’Incarnazione è stato un grosso investimento di Dio per noi. Sono cambiate tutte le nostre realtà fondamentali: il valore di ogni persona; la nostra idea di Dio e il nostro rapporto con lui; il concetto di salvezza; il sogno di grandezza che è nell’uomo … Proviamo a passarle in rassegna una ad una.

Ci ha fatto diventare una cifra. Mille zeri, nove miliardi di zeri … fanno sempre zero; ma se tu gli metti davanti un “1” diventano una cifra. Ogni essere umano è una meraviglia, ma è estremamente precario, è come un soffio. Il Salmo 144,4 lo dice in un modo stupendo: «L’uomo è simile a un soffio, i suoi giorni sono come l’ombra che passa». Nessun uomo può garantire eternità a se stesso. Noi ci proviamo con quello che facciamo o con quelli a cui diamo vita; ma anch’essi non possono garantirsi eternità. Eppure in ciascuno di noi c’è un desiderio segreto di immortalità, di non finire nel nulla. Scrive Qoelet, uno degli autori biblici più affascinanti: «Dio … ha perfino messo nei loro cuori (degli uomini) il pensiero dell’eternità» (Qo 3,11).

Se “uno di noi è Dio”, l’umanità non può essere una moltitudine destinata a scomparire nel nulla. C’è sempre quell’UNO, che si è fatto solidale con noi e che non può finire nel nulla e lo impedirà anche a noi. Con il sacrificio che ha fatto di se stesso ci ha detto chiaramente quanto ognuno di noi vale per lui.

Ì Dona un valore impensabile ad ogni essere umano. Il Concilio Vaticano II si esprime così: “Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria Vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato” (GS 22). In ogni essere umano Dio padre vede il Figlio. È finita l’epoca della paura di Dio.

Ci ha ridato l’immagine di Dio smarrita all’inizio. L’idea che abbiamo di Dio condiziona l’idea che abbiamo di noi stessi: se Dio è un “padrone”, noi siamo dei servi; se Dio è un “giudice” noi siamo degli imputati; se Dio è un “benefattore” noi siamo dei beneficati; se Dio è un “padre” noi siamo dei figli. Il IV Vangelo (quello che è stato scritto per ultimo e si propone di approfondire teologicamente i temi) non chiama mai Dio con il termine dio, ma lo chiama sempre “padre”.

L’idea di Dio era andata in crisi all’inizio, quando i progenitori avevano sentito il Creatore come un ostacolo alla loro autonomia, alla loro felicità, e avevano deciso di scegliere una via alternativa per la felicità. L’esito fu devastante: divisioni, violenze, ingiustizie che vengono perpetrate nel nome di Dio hanno devastato e ancora devastano la vita dell’umanità. Le innumerevoli religioni sono le paladine di queste distorsioni del volto di Dio.

Quell’UNO, che si è fatto solidale con noi, era l’unico che poteva parlare autorevolmente di Dio perché veniva dalla vita intima di Dio. In Gesù Dio si è dato un volto visibile; il Dio invisibile è diventato visibile. Fu lui che ci rivelò il volto vero di Dio e ce lo mostrò con le parole e con la sua vita, i suoi gesti e, in particolare, con la sua croce. Un Dio “crocifisso” ci ha salvati dalle idee distorte di Dio: dal dio che risponde alla violenza con la violenza, che dispone di tutto e di tutti e non è disponibile per nessuno, che salva se stesso e lascia andare alla rovina gli altri …  La croce ci ha mostrato, invece, un Dio che si mette nelle mani di tutti, serve tutti con umiltà e mitezza, che “lava i piedi” di ciascuno dei suoi figli e delle sue figlie, che dona la sua vita a coloro che gliela tolgono.

Il «serpente innalzato» (Gesù ha fatto questo accostamento) ci salva dal veleno del serpente (Gv 3,14; Nm 21,4-9). Il veleno del serpente è l’immagine distorta di Dio e di uomo che insidia ciascuno di noi e tutta la famiglia umana.

Ci ha aperto la via per incontrare Dio. Il sogno dell’uomo è rientrare nel pianeta di Dio. Noi siamo acqua dell’oceano, veniamo dall’oceano che è Dio e siamo destinati a rientrarci. Le complicazioni inventate dalle religioni non ci avrebbero mai portato ad approdare in Dio, anche se tutte dicono di avere la via sicura. Il Figlio, che ha assunto la nostra umanità, ci ha assicurato di essere «via, verità e vita» per questo percorso.

“Battesimo” è una parola che viene dal greco e significa “immersione”. Gesù, parlando della sua vicenda aveva detto: «Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto» (Lc 12,50). Il nostro battesimo ci ha immersi in lui e nella sua storia; noi raggiungiamo Dio attraverso questa via. San Paolo, il più grande interprete di Cristo si era espresso così al riguardo: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me!» (Gal 2,20).

Gesù era sceso a prospettive ancora più affascinanti, parlando con i discepoli: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola; e il Padre mio l’amerà, e noi verremo da lui e dimoreremo presso di lui» (Gv 14,23). Dio che dimora in noi e che bussa per entrare come dice l’Apocalisse (3,20): «Ecco, io sto alla porta e busso: se qualcuno ascolta la mia voce e apre la porta, io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con me».

Non avremmo mai potuto immaginare una prospettiva migliore per la nostra piccola storia umana.

Una piccola onda se ne andava felice per il mare: era contenta, allegra, si sentiva frizzante e potente, si abbandonava al gioco della corrente, si lasciava increspare dal vento. Era proprio felice di essere un’onda. Ad un certo punto vide però, laggiù in lontananza, la scogliera e poi la spiaggia e si accorse che le altre onde, quelle che erano andate avanti, lì si infrangevano e di loro non rimaneva più nulla. Cominciò a sentirsi triste: se avesse potuto sarebbe tornata indietro, nel mare profondo, da dove non si vede terra; oppure avrebbe voluto fermarsi là dove si trovava, frenare pur di non andare avanti… Un’onda più grande le passò vicino e le chiese: “Che ti succede? Come mai sei tanto triste?”, e la piccola onda le rispose: “Ma non vedi che fine faremo? Anche tu che sei un’onda così grossa sei destinata a romperti laggiù”. Sorrise la grande onda e disse: “Tu non sei onda, sei oceano!”

Si è offerto per salvare l’umanità. Salvezza, qui, significa riportarci al sogno che il Creatore aveva pensato per noi. Il Figlio era il nuovo Adamo e riapriva le porte del sogno di Dio. Il “giardino” abbandonato all’inizio è stato riaperto, per sempre e per tutti. Il Figlio ha pagato per l’ingresso di ognuno di noi. Con la morte di croce ha vinto definitivamente la battagli contro il male. Chiunque può danzare con lui la danza della vittoria.

L’umanità, da quando è cominciata la sua storia, ha fatto un lungo commino nella scoperta delle leggi che regolano il creato e nella gestione di esse, ma non è assolutamente cresciuta come “umanità” (intesa come caratteristica). La legge della giungla che c’era all’inizio, è rimasta sotto forme di apparente civiltà.

L’umanizzazione dell’umanità (perdonate la ripetizione) è un compito che si è assunto il Figlio, facendosi uomo. È lui il primo e il modello dell’umanità nuova. Dove lui regna ci sono i segni di un profondo cambiamento. Non si tratta di cambiamenti a suon di miracoli, bensì di profondi cambiamenti del cuore.

Per questo continui ad agire nella storia, ha lasciato la ricchezza accumulata per noi ad una assemblea che egli ha chiamato Ecclesìa, che significa riunione dei convocati.

La Chiesa, non come fatto giuridico, ma come riunione di coloro che si riconoscono nel progetto di Dio. È presente visibilmente in coloro che, sotto la guida di Pietro e dei suoi successori, continua ad amministrare la ricchezza che Gesù ha raccolto. Vivendo nel monto e a stretto contatto con le contraddizioni di una umanità che continua a mostrare la sua fragilità e vulnerabilità. Compito della Chiesa è mettere a disposizione, di chiunque ne abbia bisogno, il potenziale spirituale che Cristo ha lasciato in eredità.

Fragile per quella umanità che raccoglie e accompagna, ma grande per il patrimonio che custodisce, è lei stessa semper reformanda, sempre in rinnovamento. Sua forza non è la sua organizzazione ma il patrimonio della Parola e dei Sacramenti che le è stato affidato. Una simpatica leggenda può aiutarci nella comprensione di questa scelta che ha fatto Gesù.

IL PROGETTO DI DIO  

Il giorno dell’Ascensione così riferisce una leggenda un Angelo incontrò Gesù che saliva al cielo e gli chiese: “Signore hai già terminato la tua missione?”. “Si”, rispose Gesù.

Poi rivolgendo lo sguardo laggiù verso la terra immersa nel freddo e nell’oscurità, videro un tenue fuoco ardere in un piccolo punto. “Che cos’è?”, domandò l’angelo. Rispose il Signore: “Quel piccolo focolare è in Gerusalemme; attorno vi sono riuniti gli Apostoli insieme con mia Madre. Ora, appena sarò tornato il mio piano sarà completato: manderemo laggiù lo Spirito Santo per ravvivare quel focolare così che possa diffondersi per tutta la terra e dare luce e calore a tutti gli uomini”.

L’angelo, meravigliato, dopo un momento di riflessione disse di nuovo a Gesù: “E se questo non funzionasse?”. Il Signore rispose: “Il mio piano è questo e non ne ho altro. Io voglio che nel mondo regni l’amore tra gli uomini”

Adesso potremmo anche rispondere agli interrogativi, che ci eravamo posti all’inizio: «Era proprio necessario che il Figlio si riducesse nella povertà e nei limiti dell’uomo?». Gesù non è un angelo; è uomo e ha provato tutto ciò che proviamo noi eccetto il peccato e per questo può capire le nostre situazioni. Ma potremmo anche cambiare quella domanda con questa: «E se il Figlio non si fosse incarnato, che cosa ci sarebbe mancato?».

Tra i misteri che la fede ci domanda di credere l’Incarnazione è il primo e fondamentale. Gli altri dipendono da questo. E così Dio continua con il suo stile, l’Incarnazione, anche nella vita di ogni discepolo. La ricerca di un altro metodo ci porterebbe fuori dal suo progetto.

“e il verbo si è fatto carne” – Il prologo di Gv, poema dell’incarnazione

Il racconto più affascinante dell’Incarnazione del Figlio l’abbiamo nel prologo del IV Vangelo; meditandolo si scopre la profondità del disegno del Creatore. Ripercorriamo anche noi questa pagina meravigliosa.

1 In principio era il Verbo,
il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.
2 Egli era in principio presso Dio:
3 tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste.
4 In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini;
5 la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta.
6 Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni.
7 Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui.
8 Egli non era la luce, ma doveva render testimonianza alla luce

9 Veniva nel mondo la luce vera quella che illumina ogni uomo.
10 Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe.
11 Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto.
12 A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome,
13 i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.
14 E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità.

Il progetto di Dio: diventare uomo

Il prologo del IV Vangelo riassume l’azione di Dio nell’universo: dalla creazione del mondo (Gen 1,1) alla venuta di Dio stesso nel mondo attraverso l’Incarnazione della sua Parola (Lógos). Il prologo del IV Vangelo è un abisso di luce, una cascata di illuminazioni, che indicano come Dio ha voluto entrare nella storia e diventare uomo tra noi umani. Ci mettiamo solo in ascolto di alcune parole che ritmano questo canto.

Innanzitutto l’evangelista osa immergere il suo sguardo nell’eternità: «In principio era il Verbo, / il Verbo era presso Dio / e il Verbo era Dio. / Egli era in principio presso Dio». All’inizio, prima della creazione dell’universo, la Parola (Logos) era, cioè esisteva fuori del tempo, da tutta l’eternità.

È per la realizzazione de progetto che Dio aveva in mente che l’uomo è stato pensato e voluto dall’eternità e posto nel tempo con la creazione. Grande veramente deve essere l’uomo se il Figlio ha deciso di farsi uomo per salvarlo.

Il Verbo si è fatto carne nel seno della Vergine Maria e da lei è nato l’Uomo – Dio. Così colui che nessuno aveva mai visto, colui che gli uomini supplicavano «Signore mostraci il tuo volto», si è mostrato così com’è; rimanendo il Dio che era da sempre, ha iniziato ad essere uomo.

Con l’incarnazione il Logos non ha raggiunto soltanto l’umanità di Gesù di Nazareth, ha toccato, in qualche modo, tutti gli uomini. Ognuno di noi, nel disegno eterno, è stato fatto sul modello del Figlio; siamo tutti figli nel Figlio. Entrando nella storia e assumendo l’umanità concreta di Gesù, si è fatto carico, in certo modo, tutti noi che partecipiamo di questa umanità. Il Vaticano II, nella sua più impegnativa costituzione (Gaudium et spes) si esprime così: “Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria Vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato” (GS 22).

L’uomo è una realtà sacra. Chi gli fa violenza, fa violenza al Figlio di Dio, chi lo ama e lo accoglie, ama e accoglie Dio stesso (Mt 25,40). Era la sua presenza che ridava all’uomo la sua vera dignità: «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1,9).  Il Natale non è unicamente la festa dei Cristiani, ma di tutta la storia, di tutti gli uomini. In tutti i figli continua a nascere il Figlio eterno di Dio e nostro fratello Gesù Cristo.

Il prologo del IV Vangelo va oltre e dice che «Tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di ciò che esiste… Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui» (Gv 1. 3-10). Non è solo l’umanità ad essere compenetrata dal Figlio; anche l’universo intero e, in qualche modo, il suo corpo. È in atto una sorta di cristificazione nella materia: «Tutto è stato fatto per mezzo di lui,
e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste» (Gv 1,3). A causa di questa visione cosmica dell’incarnazione di Dio, la liturgia antica della Chiesa cantava: “Pieni di gioia per la nascita di Cristo, le montagne e le colline si inchinano e gli elementi del mondo, con gaudio ineffabile, eseguono in questo giorno una melodia sublime” (PL 86).

È la celebrazione cosmica che sfugge agli occhi e agli orecchi sensibili, ma è percepita dalla fede. San Francesco l’aveva capito bene e lo ha mirabilmente interpretato nel Cantico delle Creature.

Il progetto dell’uomo: diventare Dio

Fin dall’inizio della sua storia l’uomo ha sognato di diventare come Dio. Il serpente lo aveva assicurato: «Diventerete come Dio» Gen 3,5). Il prezzo era una trasgressione: mangiare dell’albero che Dio aveva vietato. Sbagliarono strada, ma Dio continuò a credere nel loro sogno di diventare come lui.

Quando con voce tremante di emozione professiamo che il Verbo si è fatto carne, affermiamo di credere che il progetto dell’uomo di essere Dio si sia concretizzato; il sogno è diventato realtà. L’incarnazione rappresenta la possibilità concreta, per l’uomo, di entrare nella sfera di Dio. Il Figlio facendosi uomo ha trascinato l’uomo nell’avventura di Dio. Non è entrato nella vita dell’uomo per sfrattarlo o per sottometterlo. In Gesù Cristo l’uomo è approdato pienamente in Dio e il suo cuore ha trovato pace.

L’altissima vocazione dell’uomo si compie là dove l’uomo supera infinitamente l’uomo, e approda al pianeta Dio. È l’incarnazione che continua, offerta ad ogni uomo, ma … Il prologo ad un certo punto constata amaramente: «Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto». L’incarnazione non è un fatto automatico; esige la scelta dell’uomo: «A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio» (1,12). Si tratta di una scelta guidata da Dio: «…  a quelli che credono nel suo nome, / i quali non da sangue, / né da volere di carne, / né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati» (1,13).

Nel Salmo 82 (6) Dio si era espresso così: «Io ho detto: Voi siete dèi, siete figli dell’Altissimo». Dio ha fatto la sua scelta, all’uomo tocca di fare la sua. Nel libro dell’Apocalisse (3,20) c’è una proposta bellissima di Cristo ai discepoli: «Ecco, io sto alla porta e busso: se qualcuno ascolta la mia voce e apre la porta, io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con me». La porta si apre solo dall’interno, dalla parte dell’uomo. Dio non impone quello che dona, lo offre come dono. All’uomo chiede solo che accetti di entrare nel misterioso dialogo dell’Incarnazione.

Chiudiamo con una leggenda ingenua, ma molto espressiva legata al mistero dell’Incarnazione, che ci dice la via per arrivare ad accettare il gioco di Dio:

Un giorno le statuine del presepio se la presero con il pastorello soprannominato Incantato, perché a differenza delle altre statuine, lui se ne stava lì, davanti alla grotta, con le mani vuote, senza alcun dono da portare a Gesù. “Non hai vergogna? Vieni a trovare Gesù e non porti niente?”. Incantato non rispondeva: era totalmente assorto nel guardare il bambino. I rimproveri cominciarono a farsi più fitti. Allora Maria, la mamma di Gesù, prese le sue difese: “Incantato non viene a mani vuote. Guardate: porta la sua meraviglia, il suo stupore! L’amore di Dio, fatto bambino piccolissimo, lo incanta”.

Quando tutti compresero, la mamma di Gesù concluse: “Il mondo sarà meraviglioso quando gli uomini, come Incantato, saranno capaci di stupirsi. Capite? Dio per amore nostro si è fatto come noi, per farci come lui”. (S. Lawrence).

Il cammino che ci conduce alla resa a questa proposta di Dio, ad aprirgli, cioè, la porta perché entri e ceni con noi, è il messaggio delle Scritture sante, che ci conduce a vedere il mondo fuori di noi e quello dentro di noi sotto una luce diversa e più profonda.  L’Incarnazione rappresenta una geniale intuizione della pedagogia del Creatore … Peccato non capirla e non accoglierla.

Conclusione

Il percorso dell’Incarnazione non è terminato: si rinnova per ogni uomo che entra nell’avventura della vita. Non si tratta di una imposizione, ma di un dono.  La proposta che Dio fa è veramente alta e all’uomo domanda solo la disponibilità.

Dio conosce bene i nostri limiti, le nostre paure, le nostre confusioni, per questo è pronto a rilanciare la sua proposta ad ogni occasione. Milioni di persone l’hanno già vissuta e altrettanti la stanno vivendo ora. Il sogno di Dio si compirà quando tutti saremo entrati nell’avventura dei … figli.