Il piacere di una chiamata
Immagina di essere in un paese che non conosci e non ti conosce, magari anche all’estero. Tanta gente che si muove attorno a te. Volti che non conosci e che non ti conoscono. Sei nessuno; sei anonimo. Improvvisamente una voce ti chiama: Luigi … Andrea … Marta … Luciana …”. Ti strappa dal tuo anonimato. Sei qualcuno. È cambiata la tua situazione.
Anche Dio, dal profondo della sua eternità, chiama. Come narra il libro della Genesi il Creatore chiama ad esistere. Chiama la luce, chiama il giorno e le stagioni, chiama le e acque, chiama i fiori, gli animali, l’uomo e la donna. C’è un passo bellissimo nel salmo 147,7: «Egli conta il numero delle stelle e chiama ciascuna per nome». Miliardi di stelle … le conosce e le chiama per nome. Il profeta Baruc (3,34-35) aggiunge un particolare tenerissimo, attribuendo alle stelle un sentimento esse rispondono: «Eccoci! E brillano di gioia per il loro Creatore». Un dialogo intenso, che dura dall’inizio della creazione. Dio chiama i fiori ad aprirsi, i cuccioli degli animali a nascere e i loro genitori ad accudirli. Il Creatore chiama la primavera dopo l’inverno e l’estate e l’autunno per la maturazione dei frutti dei campi … Dio chiama sempre tutte le sue creature.
E non vogliamo che chiami l’uomo, ogni essere umano, nel quale ha messo qualcosa di suo, quell’alito che ci fa vivere? Per ogni essere umano è fondamentale essere riconosciuto da chi l’ha introdotto nella vita. I bambini adottati (non riconosciuti dai genitori o comunque separati da essi) hanno sempre, nello sguardo un’ombra come se qualcosa di fondamentale fosse loro mancata. La voce della madre, la presenza rassicurante del padre danno, alla creatura, serenità e sicurezza. Questo il nostro Creatore intende farlo per tutti.
Una chiamata che vale
Dio non ci chiama perché ha bisogno di noi, ma perché sa che noi abbiamo bisogno di lui. Una strana pedagogia religiosa ci ha portati a pensare che Dio pretenda da noi la lode e l’adorazione, diversamente rischiamo di incappare nelle sue ire. Un prefazio della liturgia romana dice una cosa bellissima al riguardo: “I nostri inni di benedizione non accrescono la tua grandezza, ma ci ottengono la grazia che ci salva”. Il Creatore pretende nulla da noi, nemmeno che noi lo ascoltiamo. Tutto quello che ci dona è “grazia” (gratis). Noi non dobbiamo ascoltarlo, abbiamo bisogno di ascoltarlo; ci fa piacere sentire la sua parola.
La pedagogia del “dovere” ha deformato la nostra visione di Dio: ci ha fatto pensare a lui come a un Signore potente che pretende di essere riconosciuto, pregato e ossequiato. La verità è tutto il contrario: ci ha voluti perché ci ama, ci perdona perché ci ama, ci chiama perché ci ama e sa che è importante per noi rimanere in dialogo con lui. Un Dio così è un balsamo per la nostra vita, è da godere. Noi abbiamo bisogno di lui, non lui di noi. Riporto qui una risposta ingenua, ma di alta teologia, di un bambino delle elementari.
Dio e lo zucchero
Una catechista, che preparava i suoi ragazzi alla Prima Comunione, volle fare una prova di quanto avessero capito dei messaggi che aveva dato loro. Pose loro due semplici domande: “Chi mi sa dire con parole sue chi è Dio e come fate a sapere che Dio esiste, se nessuno l’ha mai visto?”. Le risposte furono le più varie e scontate, ma una la colpì in particolare e volle che la leggesse proprio Ernestino che l’aveva scritta e che la leggesse ad alta voce ai compagni. Temendo una pesante umiliazione davanti a tutta la classe, scoppiò a piangere. La maestra lo rassicurò e lo incoraggiò. Singhiozzando Ernestino lesse: “Dio è come lo zucchero che la mamma ogni mattina scioglie nel latte per prepararmi la colazione. Io non vedo lo zucchero nella tazza, ma se la mamma non lo mette, ne sento subito la mancanza. Ecco, Dio è così, anche se non lo vediamo. Se lui non c’è la nostra vita è amara, è senza gusto”.
Alta teologia, espressa nel linguaggio della quotidianità da un bambino di dieci anni.

Il nostro è un Dio che parla
Jhwh, il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe il Dio di Gesù è l’unico degli dèi antichi che parla. Parlando ha creato, parlando ha guidato Israele nel deserto. Ha parlato attraverso i patriarchi, i profeti e i sapienti. Ha parlato a noi attraverso il Figlio. È curioso che questo Figlio si sia autodefinito lògos, cioè “Parola”. Siccome il Creatore è dentro di noi, in quell’alito che ci ha dato creandoci, può parlare con tutti e con ciascuno.
Ha parlato con un popolo, che ha chiamato alla libertà, guidandolo sul sentiero della libertà. È stato accanto a questo popolo durante tutte le sue vicissitudini. Ha voluto addirittura creare un legame forte con lui, un’alleanza. Attraverso i suoi inviati ha lasciato messaggi straordinari, capaci di creare un modo nuovo di vivere. Non è stato capito e allora ha giocato la carta più alta che si potesse: si è fatto uomo, in una famiglia di poveri; è vissuto lavorando con le sue mani. Non si poteva avere paura di lui, perché non voleva la paura della gente, ma l’amore, il dialogo. Ha camminato sulle strade degli uomini, ha parlato con tutti, è venuto incontro a tutti. L’esito è stata una fine amara, obbrobriosa. Non era una sconfitta, ma un rovesciamento dei parametri: il giudicato è diventato giudice, il giustiziato è diventato il vivente, la debolezza è diventata forza …
Il racconto della passione secondo il IV Vangelo cita una profezia di Zaccaria: «Fisseranno colui che è stato trafitto …». Questo è il libro da leggere: la sua vita, la sua morte e la sua risurrezione. Lì abbiamo il percorso per far ripartire l’umanità su basi diverse.
Un’eredità da valorizzare
La parola che Dio ci ha rivolta è diventata un patrimonio per tutta l’umanità e per tutte le generazioni: un patrimonio di amore, di saggezza, di luce … al quale abbiamo il diritto di accedere.
Con lo scisma di Lutero (ufficializzato nel 1521 nella dieta di Worms) e l’incomprensibile leggerezza della curia romana di voler togliere di mano ai Cattolici la Bibbia per paura di altri problemi, siamo entrati nel tunnel oscuro dell’assenza della parola di Dio. Dopo che ai cattolici è stata tolta di mano la Bibbia, tre settori importanti della vita cristiana come Liturgia, Teologia, Catechesi, Morale … si sono mosse senza un vero riferimento alla Scrittura fino quasi ai nostri giorni. Ora arranchiamo faticosamente nel tentativo di recuperare il tempo perduto. Abbiamo ancora una fede legata a pratiche religiose buone ma non capite fino in fondo. Abbiamo bisogno di tornare ad attingere alla sorgente della Rivelazione, la Sacra Scrittura.
È un impegno non piccolo che, oltre a dover ridimensionare abitudini e tradizioni sempre meno motivate, ci chiede di entrare in contatto diretto con i testi sacri. Questo significa aver a che fare con il contenitore del “messaggio” di Dio che è la lingua e la cultura semitica. Si tratta di un contenitore che non va confuso con il contenuto. Una scatola di legno povero che contiene diamanti non va confusa con i diamanti, però li contiene. Dio ha scelto questo contenitore povero per darci il suo messaggio. A noi adesso la fatica di superare questo ostacolo per arrivare ai … diamanti che contiene.
Una lettera d’amore
Per il suo compleanno, una principessa ricevette dal fidanzato un pesante pacchetto dall’insolita forma tondeggiante. Impaziente per la curiosità, lo apri e trovò… una palla di cannone. Delusa e furiosa, scagliò a terra il nero proiettile di bronzo. Cadendo, l’involucro esteriore della palla si aprì apparve una palla più piccola d’argento. La principessa la raccolse subito.
Rigirandola fra le mani, fece una leggera pressione sulla sua superficie. La sfera d’argento si aprì a sua volta e apparve un astuccio d’oro. Questa volta la principessa aprì l’astuccio con estrema facilità. All’interno, su una morbida coltre di velluto nero, spiccava un magnifico anello, tempestato di splendidi brillanti che facevano corona a due semplici parole: ti amo.
Molta gente pensa: la Bibbia non mi attira. Contiene troppe pagine austere e incomprensibili. Ma chi fa lo sforzo di rompere il primo “involucro”, con attenzione e preghiera, scopre ogni volta nuove e sorprendenti bellezze. E soprattutto verrà presto colpito dalla chiarezza del messaggio divino inciso nella Bibbia: Dio ti ama.
Coclusione
Dio ha chiamato all’esistenza tutte le cose, come il regista chiama tutti gli strumenti ad entrare nell’orchestra. Dio chiama l’uomo come “solista e interprete” della sua regia. Capire le sue indicazioni ed eseguirle fa bene all’uomo stesso, ma anche al creato che Dio gli ha affidato all’inizio «perché lo coltivasse e lo custodisse» (Gen 2,15). Se il creato non funziona (degrado, inquinamento desertificazioni …) è perché l’uomo è venuto meno al suo compito.
Dio ha chiamato e chiama ogni uomo all’avventura della vita eterna. Dio possiede la vita eterna (quella dell’uomo è una vita a termine) e vorrebbe dividerla fin d’ora con la creatura in cui ha messo “il suo alito”. Questo è il senso anche della Risurrezione di Cristo. Il progresso umano è il segno che dice la diversità dell’uomo rispetto alle altre creature, ma il creatore offre all’uomo molto di più: la partecipazione alla sua “vita eterna” … e questo già fin da ora. Dopo la risurrezione di Gesù, l’ultima parola sulla vita dell’uomo non è la morte, ma la risurrezione, cioè l’ingresso della creatura umana nella “vita eterna” di Dio già fin d’ora.