Sono presenti da millenni da sempre in tutte le religioni e nelle culture popolati. Variano incerti particolari, ma rappresentano qualcosa su cui ci si è interrogati e ci si interroga. Ci sono davvero? Che rapporto hanno con Dio? E con noi?

Volendo parlare degli angeli si è costretti a ricorrere ad in immaginario standard: per essere presi sul serio devono avere le ali, i capelli fluenti e i lineamenti dolci, ma pur sempre maschili perché nessun angelo ha un nome di donna. Un angelo con tratti hippy e jeans avrebbe poche speranze di essere preso sul serio. Al massimo un angelo in giacca e pantaloni visto che qualche film ce li ha presentati così.

A noi eredi della cultura illuminista e positivista la figura eterea dell’angelo può apparire un ingenuo e arcaico retaggio di un’epoca premoderna ormai superata più che un essere reale.

Bultmann, teologo luterano di fama mondiale, nel secolo scorso dichiarava: “Non ci si può servire della luce elettrica e della radio, o far ricorso in caso di malattia ai moderni ritrovati medici e clinici e, nello stesso tempo, credere nel mondo degli spiriti e dei miracoli”.

Nell’ era della scienza e della tecnica la fede negli angeli parrebbe destinata ad un rapido declino, invece questa tradizione resiste ed è accettata da molti credenti e trova sostegno in internet dove numerosi siti insegnano come contattare gli angeli e suggeriscono le preghiere più efficaci per ottenere la loro protezione.

Anche i film hanno fatto la loro parte mettendo gli angeli come protagonisti basta pensare a “Miracolo a Milano”“La vita è meravigliosa”,” Il paradiso può attendere”, “Il cielo sopra Berlino”, “Così lontano così vicino”.

In questi ultimi anni anche l’editoria e la musica hanno fatto la loro parte: RonL’equipe 84, Lucio DallaLucio Battistila Bertè, Bob Dylan, Jimmy Hendrix ne hanno subito il fascino e li hanno cantati nelle loro produzioni. Alcune ditte li hanno scelti come soggetti per la pubblicità dei loro prodotti. Negli Stati Uniti Joyce Berg ha dato vita ad un museo dell’angelo e finora ha collezionato ben 11.161 pezzi.

Perché questo bisogno di angeli?

Dio è grande, immenso, santo, potente … mette un senso di soggezione per questo vorremmo trattare con qualcuno di meno “alto”. Gli angeli, pur essendo spiriti, sono creature e, per questo, più vicini a noi. A loro ci rivolgiamo nella speranza che siano nostri intermediari con Dio.

Per tante ragioni ci sentiamo in difficoltà, incapaci di gestire la nostre situazioni quotidiane e abbiamo bisogno di sentire che qualcuno, più potente di noi, ci tenda una mano:

– la scienza non ci garantisce la sicurezza e il potere che ci aveva promesso perciò cerchiamo qualcuno che ci assicuri questo potere;

– la solitudine a volte diventa un cerchio che ci stringe sempre di più e allora ci rivolgiamo a qualcuno che ci con-soli, che stia con noi che siamo soli;

– la vita ci pone, a volte, di fronte a scelte e a problemi molto difficili che non sappiamo come risolvere e allora sorge in noi il bisogno di sentirci sorretti e aiutati da spiriti guida;

– la nostra realtà, anche se bella, a volte ci sembra troppo angusta e ripetitiva allora cerchiamo qualcuno che ci faccia sognare una vita più appagante che ci porti nel mondo dell’invisibile. La saturazione del “visibile” crea la nostalgia dell’invisibile.

Queste ed altre ragioni hanno fatto nascere il bisogno degli angeli, creature che fanno da ponte tra noi e Dio. Tutte le religioni hanno parlato di queste creature in modo diverso secondo la cultura e le esigenze pratiche, gli angeli rappresentano la proiezione dei nostri sogni.

Una caratteristica di queste creature nel nostro contesto culturale è quella di essere Angeli del benessere più che Angeli del bene. Sono ridotti a toccasana contro i malanni del corpo e dello spirito e a garanzia contro i pericoli. Più che appelli alla fede e all’impegno etico servono a proteggere dagli incidenti, dai pericoli … suggeriscono persino i numeri del superenalotto. E’ l’aspetto consumistico che entra in questa concezione dell’angelo.

Abbiamo così un contrasto netto con la figura biblica dell’angelo che, quando appare all’uomo provoca sempre timore e profondo turbamento. Così fu per tanti personaggi biblici: Abramo, Agar, Giacobbe, Maria…

Queste ed altre ragioni hanno fatto nascere il bisogno di queste creature che fanno da ponte tra noi e Dio. Tutte le religioni hanno parlato di queste creature con toni diversi, in base alla cultura e alle esigenze pratiche. Gli angeli rappresentano la proiezione dei nostri sogni.

Se ad un gruppo di persone di età, attività, posizione sociale diverse chiedessimo che cos’é per loro un bosco di alberi risponderebbero probabilmente così:

(un commerciante di legname): sono una risorsa economica per la collettività;

(dei bambini): un luogo dove vivono folletti e mostri che fanno paura

(una persona stanca e depressa): un luogo fresco e riposante;

(un ecologista): un polmone verde in un mondo inquinato;

(un cacciatore): un posto ideale per la caccia alla selvaggina.

Se chiedessimo a dei credenti di varia estrazione sociale, che cosa sono gli angeli per loro avremmo la sorpresa di scoprire più che Angeli del bene ci apparirebbero come Angeli del benessere. Sono identificati come toccasana contro certi malanni del corpo o dello spirito, come difesa e protezione nei pericoli. Più che appello alla fede e all’impegno etico, hanno il compito di proteggerci dagli incidenti e dai pericoli in genere o magari per suggerirci i numeri del lotto. È la dimensione consumistica che  si è impadronita anche di loro.

Evidente è il contrasto netto con la figura biblica dell’Angelo. Quando esso appare provoca sempre timore, turbamento, riferimento a Dio e alla sua azione. Così fu per tutti i credenti biblici che hanno avuto a che fare con angeli: Abramo, Agar, Giacobbe, Tobia, Maria di Nazareth …

L’angelo per l’uomo della Bibbia

Le figure degli spiriti (angeli e demoni) nella Bibbia sono state fortemente condizionate dal rigido monoteismo di Israele. L’ Antico Testamento parla poco e con qualche imbarazzo degli angeli e ignora quasi del tutto la figura del demonio che appare piuttosto tardi sulla scena.  In ogni caso la Bibbia non dimostra alcun interesse verso queste figure. Ne parla solo in relazione a Dio e all’uomo senza indulgere al gusto orientale per il “pittoresco trascendentale.”

“Angelo” dal latino angelus (greco ànghelos) significa messaggero-inviato ed è usato sia in senso profano (messaggero) sia in senso religioso (inviato da Dio).

L’idea di angelo si sviluppa in corrispondenza con l’evoluzione dell’immagine di Dio per coniugare la trascendenza con la presenza di Dio nella storia dell’uomo e del mondo. Il nome Jahwèh (useremo il tetragramma sacro Jhwh) significa non tanto “io sono” quanto piuttosto “io ci sono”, io sono presente e operante. L’Israelita vede Jhwh come “Dio vicino” e non ha bisogno di intermediari.

Nel periodo della monarchia sviluppa anche l’idea di una corte e di un esercito celeste al servizio di Dio (“Signore degli eserciti”). Il Dio del cielo e della terra diventa anche un Dio lontano, circondato da una corte di spiriti che lo servono. Questi esseri non corrispondono esattamente alla nozione di angelo (messaggero), ma verranno in seguito annoverati nelle schiere angeliche.

Più il monoteismo si consolida più gli angeli si presentano con contorni propri, come esseri distinti da Dio fino ad assumere connotazioni personali e nomi propri come Michele (“chi come Dio?”), Raffaele (“Dio guarisce”), Gabriele (“la forza di Dio”) dove la terminazione del nome El significa Dio.

Ci chiediamo se sono diversi da Dio o sono suoi modi di presentarsi.  Nel libro di Tobia l’angelo assume le caratteristiche di “angelo custode”. Raffaele entra in scena come compagno di viaggio (5,4ss.v.22), accompagna Tobia, gli fa prendere il pesce del Tigri, cuore e fegato servono per fare i suffumigi contro il demonio Asmodeo, che fuggirà nell’alto Egitto e là sarà raggiunto da Raffaele che lo metterà in ceppi; il fiele servirà per guarire il padre di Tobi.

È l’espressione della pietà giudaica caratterizzata dalla credenza nell’ angelo custode di cui abbiamo un segno in Mt 18,10: «Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli».

Nel libro di Daniele gli angeli appaiono come protettori dei popoli e come schiere innumerevoli che stanno intorno al trono di Dio (Dn 7,9-10): “Io continuavo a guardare, quand’ecco furono collocati troni e un vegliardo si assise, (…). Un fiume di fuoco scendeva dinanzi a lui, mille migliaia lo servivano e diecimila miriadi lo assistevano”). Ormai nell’ universo biblico tra Dio e l’umanità sono collocati gli intermediari celesti.

Fra il secolo II a. C. e il V d. C. si diffonde nella religiosità popolare il culto degli angeli con degenerazioni, agli occhi della religiosità ufficiale, che sfiorano l’idolatria.

GLI “ANGELI” NEI VANGELI E ATTI

Nei primi capitoli di Matteo e Luca:

° Lc 1,8 – 38 “annunciazioni”

° Lc 2,8 – 14 annuncio ai pastori

° Mt 1 – 2 a Giuseppe per annunciare il concepimento e poi gli ordini di fuggire e tornare in patria

Sono presenti sporadicamente nella vita pubblica nelle parole di Gesù:

° Mc 1; Mt 4: le tentazioni di Gesù, gli angeli che servono ….

° Lc 20,34 – 36 sono come gli angeli di Dio

° Mt 18, 3 – 6 i piccoli da non scandalizzare

° Lc 12,8; Mt 8,38; 13,39 – 51; 24, 31; 25,31: presenza degli angeli nel giudizio finale

° Lc 16,22 gli angeli che portano Lazzaro in seno ad Abramo

Tornano in scena durante la Passione e Risurrezione:

° Lc 22, 43 un angelo che consola Gesù

° Mt 26,53 Gesù dice che il Padre gli può dare 12 legioni di angeli

° Mt 28,1 – 6 un angelo rotola via la pietra del sepolcro

° Mc 16; Gv 20 annunciano la resurrezione

Nella vita delle prime comunità cristiane:

° At 5,18; At 12 libera gli apostoli dalla prigione

° At 8, 26 – 40 fa incontrare Filippo con l’eunuco etiope

° At 10,30 fa incontrare Pietro e Cornelio

° L’Apocalisse è popolata di angeli un angelo è la fonte della rivelazione al veggente; proteggono le varie chiese; annotano le azioni degli uomini.

L’unico che guarda in modo critico agli angeli è l’apostolo Paolo: sua preoccupazione è che venga compromessa l’unicità della mediazione di Cristo. Teme che gli angeli offuschino la centralità di Cristo.

Chi sono veramente gli angeli?

Quando Gesù ne parla, vuole affermare l’esistenza oppure è il linguaggio di cui si serve per affermare altre verità che gli premono? Quando Gesù, per annunciare la sua resurrezione il terzo giorno, si serve del racconto di Giona, rimasto per 3 giorni nel ventre della balena, non voleva affermare che Giona davvero era rimasto per 3 giorni nel pesce… C’è nell’Antico Testamento, un racconto in cui è contenuta l’intuizione forse più rivoluzionaria della storia delle religioni dell’antichità. È il racconto del sogno di Giacobbe: «Una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo; ed ecco gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa. Allora Giacobbe si svegliò dal sonno e disse: questa è proprio la casa di Dio questa è la porta del cielo» (Gen.28, 10 – 17).

Già gli dei dell’Egitto, della Mesopotamia, di Ugarit erano rappresentati sulla terra da statue, stele, cippi commemorativi, animali e alberi sacri, ma risiedevano stabilmente in cielo. L’uomo, per loro, rimaneva un essere lontano, creato per offrire loro sacrifici e subire i loro capricci. Completamente diverso era il Dio d’Israele: non voleva essere raffigurato da immagini perché comunicava direttamente con l’uomo. Per questo il pio israelita esclamava commosso: «Quale grande nazione ha la divinità vicina a sé come il Signore nostro Dio è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo» (Dt 4,7). Il Dio d’ Israele ha voluto cielo e terra strettamente uniti.

La scala piantata sulla terra e appoggiata al cielo era il segno del legame fra Dio e l’uomo e della possibilità del perenne scambio fra i due mondi. L’uomo può far giungere al Signore il suo appello e questi può scendere a visitarlo sulla terra.

Dio e l’uomo non possono più vivere isolati, stare l’uno senza l’altro; nemmeno il Signore può più essere felice da solo.

E gli angeli che salgono e scendono dalla scala che sono? Sarebbero rimasti avvolti nel mistero se Gesù non ne avesse parlato. A Natanaele, il vero israelita in cui non c’era falsità, rivelò: «ti assicuro:vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul figlio dell’uomo» (Gv 1,51). Il riferimento era al sogno di Giacobbe, ma con una modifica: era scomparsa la scala, sostituita da un nuovo personaggio, il Figlio dell’uomo, Gesù stesso.

Ora comprendiamo: è lui l’unico che è salito al cielo ed è disceso (Gv 3,13), l’unico mediatore fra cielo e terra (1Tm 2,4); è Lui la scala che permette all’uomo di giungere a Dio e a Dio di scendere per incontrare l’uomo. E diviene chiaro anche chi sono gli angeli, sono tutti coloro che si trovano sulla scala che è Cristo, e, uniti a Lui, portano il divino al mondo e gli uomini a Dio.

Oggi assistiamo, sì, a un revival ma di quali angeli?  Forse di quelli del benessere fisico e psichico, di quelli che preservano dai pericoli e magari suggeriscono i numeri della lotteria più che di quelli che colmano la distanza tra Dio e l’uomo, messaggeri del Bene. Chiedersi se esistono gli angeli è una domanda mal posta; la domanda giusta sarebbe questa: Dio invia a noi sulla terra dei messaggeri? A questa domanda bisogna rispondere con entusiasmo “Sì!”.

Ci sono anche gli angeli per i bambini?

Una devozione che resiste all’usura del tempo è quella dell’angelo per i bambini. L’iconografia e la narrativa hanno detto di tutto e di più. La preoccupazione di mettere in sicurezza queste fragili e amate creature ha giocato e gioca un ruolo determinante in questa devozione anche nei non praticanti. L’esperienza ci dice, che superati i 7/8 anni l’angioletto sembra non avere più influenza, e nelle età successive, rimangono solo piccole tracce di questa devozione.

Questa non rappresenterebbe un danno spirituale irreparabile se il vuoto lasciato dagli angeli venisse colmato da qualcosa di più forte. Alla luce del primato assoluto di Cristo l’esistenza degli angeli non è un contenuto centrale della parola di Dio; la loro non è una presenza di primo piano.

L’ANGELO DEI BAMBINI

Narra un’antica leggenda che un bambino che stava per nascere chiese a Dio:

 “Mi dicono che stai per mandarmi sulla terra; come riuscirò a vivere io così piccolo e indifeso?”

“Tra i miei angeli ne ho scelto uno che ti sta aspettando e avrà cura di te”

“Signore, qui nel cielo non faccio altro che cantare e sorridere; questo mi basta per essere felice”

“Il tuo angelo canterà e sorriderà tutti i giorni per te. Imparerai il suo nome e sarai felice”

“Ma come farò quando vorrò parlare con te”?

“Il tuo angelo ti unirà le manine e ti insegnerà a parlarmi. Io sarò sempre pronto a parlarti”

In quell’istante una grande pace regnava nel cielo, ma già arrivavano le prime voci dalla terra.

“Dio mio, se già devo andare, dimmi il suo nome … come si chiama?”

“Il suo nome non importa, tu lo chiamerai mamma”.

La lettera agli Ebrei presenta il Figlio fatto uomo come “tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato” (Eb 1,4).

E aggiunge che gli angeli sono “tutti spiriti incaricati di un ministero, inviati a servire coloro che erediteranno la salvezza” (Eb 1,14). Dalla parola di Dio gli angeli sono presentati come servitori del disegno di Dio in favore dell’umanità.

Nello sviluppo della Rivelazione gli angeli hanno assunto nomi per indicare qual è il loro impegno nei confronti degli uomini. Il nome che è a loro attribuito indica questa funzione Michele, Raffaele, Gabriele, guarda caso, significano “ forza di Jhwh” , “medicina di Jhwh”, “messaggio di Jhwh”. Il passo successivo spontaneo è dire che gli angeli sono manifestazione di Dio, della sua forza, della sua premura, dei suoi messaggi. Sono anche personificazioni di queste azioni di Dio? La nostra tradizione li ha voluti vedere così. Il rischio potrebbe essere quello di assolutizzarli, al punto di renderli dei semidei.

Agli antenati degli Israeliti, che fuggivano dalla schiavitù d’Egitto verso la terra promessa, Jhwh assicura: “ecco, io mando un angelo davanti a te per custodirti sul cammino e per farti entrare nel luogo che ho preparato. Abbi rispetto della sua presenza, dai ascolto alla sua voce e non ribellarti a lui; egli infatti non perdonerebbe la vostra trasgressione, perché il mio nome è in lui. Se tuo dai ascolto alla sua voce e fai quanto ti dirò, io sarò il nemico dei tuoi nemici e l’avversario dei tuoi avversari) (Esodo 23,20 – 22). Quell’angelo era Mosè.

MA LEI È UN ANGELO!

Una donna, che aveva urgenza di rientrare a casa, ma le si era bloccata l’auto. Proprio in quel momento un grosso tir rallentò e si fermò sulla piazzetta di emergenza. Scese l’autista e venne verso la donna ancora più spaventata. Le chiese educatamente: “Problemi?” La donna rispose: “Non riparte”. “Permette?” fece l’autista del tir, e si chinò sul motore. Prese i ferri che aveva sul suo mezzo” e lavorò per circa una mezz’ora, poi disse alla donna: “Adesso dovrebbe poter ripartire”. Il motore dell’auto ripartì. La donna chiese: “Le devo qualcosa?” No – rispose l’uomo- Se non ci aiutiamo tra noi, la strada diventa una giungla. Vada signora, perché magari a casa l’aspettano”. “Ma lei è un angelo!” riuscì a dire la donna, ma l’uomo era già risalito sul suo autotreno.

Se noi riduciamo gli angeli a impiegati di Dio, rischiamo di perdere la possibilità che abbiamo di essere noi la longa manus della premura di Dio per gli uomini. “Io vi mando… andare…” sono l’invito di Gesù ai discepoli. Angelo vuol dire “mandato”; questa possibilità è offerta a ciascuno di noi.

Senza voler mandare in cassa integrazione gli angeli, pensiamo quante possibilità abbiamo anche noi di essere “angeli” per coloro che incontriamo: angeli in giacca e cravatta o in tuta da lavoro; angeli in gonna e camicetta. Le ali ce li applicherà il Signore: ali invisibili capaci di sollevare l’animo di chi è in difficoltà, ma anche di chi si presta a servire.

L’amore che Dio ha in serbo per i suoi figli lo affida a noi perchè lo gestiamo. Non si tratta della “buona azione” del boy scout, ma della gestione di un tesoro divino da amministrare. In questo la crisi di lavoro non ha influito, e non influisce nemmeno l’età, perché il Signore chiama a tutte le ore della vita. Non ammiriamo solo gli angeli, facciamoci angeli.

SPIGOLANDO NEI SALMI  – Dio, angeli, uomini e creato… insieme

I Salmi non sono preghiere per chiedere, ma parole che Dio pone sulle nostre labbra per dirci quello che egli ha fatto, fa e farà sempre per noi. Nel Vangelo secondo Matteo (6,7-8) è scritto: «Il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate».

I Salmi non ci parlano degli angeli esplicitamente, ma li chiamano in causa per farci sapere le premure che Dio usa per i suoi figli. Spigolando tra i Salmi, che non trattano esplicitamente degli Angeli, troviamo alcune espressioni che ci rivelano l’attenzione di Dio che chiama e manda:

Il Salmo 104,4 ha questa espressione poetica. Cammina sulle ali del vento; fa dei venti i suoi messaggeri, dei fulmini i suoi ministri”. Venti e fulmini sono portatori dei suoi messaggi e realizzatori dei suoi progetti.

Il Salmo 102,2 si esprime così: “Benedite il Signore, voi tutti suoi angeli, /potenti esecutori dei suoi comandi, / pronti alla voce della sua parola”. Gli angeli appaiono come esecutori fedeli degli ordini di Dio.

Il Salmo 137,1 presenta gli angeli come la corte dell’Altissimo, testimoni che il salmista vuole per la sua lode a Jhwh: “Ti rendo grazie, Signore, con tutto il cuore: /hai ascoltato le parole della mia bocca. / A te voglio cantare davanti agli angeli, / mi prostro verso il tuo tempio santo”.

Il Salmo 148,2 invita alla lode di Dio. Tra coloro che egli invita come cantori della lode ci sono gli angeli: “Lodatelo, voi tutti, suoi angeli, /lodatelo, voi tutte, sue schiere”.

Salmo 103 (102)

 [1] Benedici il Signore, anima mia,
quanto è in me benedica il suo santo nome.
[2] Benedici il Signore, anima mia,
non dimenticare tanti suoi benefici.

[3] Egli perdona tutte le tue colpe,
guarisce tutte le tue malattie;
[4] salva dalla fossa la tua vita,
ti corona di grazia e di misericordia;
[5] egli sazia di beni i tuoi giorni
e tu rinnovi come aquila la tua giovinezza.

[13] Come un padre ha pietà dei suoi figli,
così il Signore ha pietà di quanti lo temono.

[14] Perché egli sa di che siamo plasmati,
ricorda che noi siamo polvere.
[17] Ma la grazia del Signore è da sempre,
dura in eterno per quanti lo temono (…)
[19] Il Signore ha stabilito nel cielo il suo trono
e il suo regno abbraccia l’universo.

[20] Benedite il Signore, voi tutti suoi angeli,
potenti esecutori dei suoi comandi,
pronti alla voce della sua parola.
[21] Benedite il Signore, voi tutte, sue schiere,
suoi ministri, che fate il suo volere.
[22] Benedite il Signore, voi tutte opere sue,
in ogni luogo del suo dominio.
Benedici il Signore, anima mia.

Genere letterario e struttura

Questa splendida benedizione è stata da sempre considerata una delle perle del salterio, una delle sue pagine cristiane ante litteram, una specie di Magnificat veterotestamentario. Il Dio che è amore in 1Gv 4,8 sembra essere il suo riferimento teologico e poetico. È stato anche definito il “protovangelo della misericordia”. Il Salmo è entrato gloriosamente anche nella tradizione cristiana; qualcuno lo ha definito il Te Deum dell’AT.

È un salmo alfabetico, composto cioè da 22 versetti, proprio quante sono le lettere dell’alfabeto ebraico. Si apre e si chiude proprio con un appassionante invito, che il salmista rivolge a se stesso, al suo “intimo”, e poi, nel finale, a tutte le creature per benedire il Signore. È preghiera di ringraziamento per il perdono ricevuto; si muove tra due opposti: grazia divina da una parte, fragilità e povertà umana dall’altra.

La benedizione, iniziale e finale, fa pensare a un canto corale che coinvolge tutti gli esseri celesti e quelli terrestri, quasi a dire che la vita dell’uomo sulla terra acquista pieno significato solo se è riferita a Dio come lode e benedizione. Due volte ricorre il verbo “benedire” all’inizio e quattro volte in chiusura. È un invito che risulta al tempo stesso lode e preghiera, canto e ringraziamento, inno e formula di gratitudine.

La composizione è un passaggio da “io” a “noi” dove l’orante diventa immagine dell’intera comunità: ciò che Dio ha fatto a lui, lo fa a tutti. La sua esperienza assume dimensioni corali: tutti peccatori e tutti peccatori perdonati da Dio e dunque tutti uniti nel ringraziamento. È un salmo penitenziale in cui non si chiede il perdono, ma si ringrazia per il perdono ottenuto.

Il filosofo tedesco F.Nietzsche lo ha definito “il libro della giustizia divina”, una giustizia che conosce il perdono; infatti nella sua polemica contro la riduzione dell’Antico Testamento alla sola giustizia punitiva di Dio, lo citava come testimonianza  del perdono.

Schema del Salmo:

3-4a fragilità umana (colpe, malattie, fossa)

4b-5 grazia divina (perdono, guarigione, saziare di bene)

6-8 grazia divina per tutti (giustizia, pietà, bontà, amore)

9-10 fragilità umana di tutti (ira, contestazione, sdegno, peccati, colpe)

11 grazia divina (misericordia, timor di Dio)

12 fragilità umana (colpe)

13 grazia divina (paternità, pietà)

14-16 fragilità umana (come erba, come fiore è la nostra vita)

17-19 trionfo della grazia e dell’amore di Dio

La nostra riflessione si occuperà della parte del Salmo che si riferisce all’azione di Dio, che chiama tutte le sue creature (angeli, uomini, creature viventi e non viventi) a manifestare, con lui, la sua misericordia.

La situazione di partenza potrebbe essere questa: un pio ebreo si ritrova pienamente coinvolto in un’amara esperienza di peccato, che ha sconvolto il suo spirito e il suo fisico. I termini con cui lo esprime sono: iniquità, sbaglio, infedeltà … Su questa penosa situazione interviene miseri­cordiosamente il Signore: il peccatore apre gli occhi sulla propria condizione di miseria e si libera dal peso gravoso. A seguito di questo esprime tutta la sua ammirazione per l’azione di Dio

In un clima di generale commozione, elenca i favori celesti di cui ha beneficiato: il Signore perdonaguariscesalvasaziaagisce… Dio ama i suoi figli anche quando gli volgono le spalle, perché conosce la loro fragilità.

(vv. 1-2)  A differenza di altri salmi, nei quali l’orante si rivolge ai fedeli presenti nel tempio per invitarli a unirsi a lui nella preghiera, qui egli si rivolge al suo nefesh, alla sua anima, come fa anche Maria all’inizio del suo cantico. Con questo termine il salmista intende riferirsi a tutto il suo essere, all’in­tera persona con tutte le sue risorse e tutte le sue forze. L’invito è a «non dimenticare» e quindi «a ricor­dare» tutti i benefici ricevuti da Dio. Il «ricordare» (fare memoria) introduce ad una esperienza viva ed efficace della premura di Dio e porta spontaneamente ad una risposta di ringraziamento. L’orante vuole rende­re gloria all’amore e alla misericordia di Dio: amore e mise­ricordia che non si sono mai attenuati per lui lungo il cam­mino fin qui percorso, non sono mai venuti meno, perché vanno «da sempre a sempre»; amore e misericordia sono «più forti della morte».

(vv. 3-5)  Ci si imbatte in una sequenza di verbi: (il Signore) perdona le colpe, gua­risce tutte le malattie, salva dalla fossa (la morte), corona di grazia e di misericordia, sazia di beni e rinnova la giovinezza. Il salmi­sta, nella successione di questi verbi, vuole comunicarci il modo di agire di Dio, il suo «stile» abituale, stile che lo contraddistingue; vuole anche sottolineare che i suoi divini e premurosi interventi non si limitano allo spirituale, ma si estendono e coinvolgono tutta la persona dell’uomo: corpo e anima, spirito e fisico, mondo interiore e mondo esteriore.

L’immagine dell’aquila. Su questo superbo vola­tile, simbolo di potenza e di longevità, la tradizione orien­tale aveva imbastito una curiosa leggenda: si riteneva che, quando essa cominciava a sentire che le forze calavano, volava verso il sole, si immergeva nella sua luce e nel suo calore e rinnovava così la sua giovinezza. Così era per colui che andava verso Dio.

(vv. 13-14) Il richiamo alla paternità di Dio infonde un senso di serenità. Egli ci conosce come nessun altro e sa le nostre esigenze prima che gliele esponiamo. L’abbandono al suo abbraccio ci ripaga di tutte le fatiche e sofferenze. La sua fedeltà regge anche i nostri tradimenti e abbandoni: «Ma la grazia del Signore è da sempre,
dura in eterno per quanti lo temono»
.

(vv. 19-22)  Giunto al termine della sua articolata preghiera, l’oran­te chiede aiuto agli angeli per formulare una degna con­clusione. Essi svolgono normalmente servizi nella corte celeste, ora però si uniscano a lui per ringraziare e benedire il Signore. Al poderoso coro angelico, si uniscano tutte le creature che Dio ha creato e collocato in ogni parte dell’universo. È la grande orchestra del creato che celebra, ad una sola voce, le lodi del suo Creatore.

L’orante, infine, ripe­te l’invito anche a se stesso, alla sua anima. Le stesse parole con cui si era aperto il canto ora si chiude nel silenzio della contemplazione.

LA FESTA DELLA CREAZIONE

Una simpatica leggenda narra che, terminata la creazione, gli animali decisero di fare festa al Creatore, portando ciascuno qualcosa che egli aveva dato loro. L’elefante si presentò facendo giochi d’acqua con la proboscide, l’aquila fece acrobazie nel cielo, il leopardo sfrecciò avanti e indietro davanti al creatore, l’usignolo e altri uccelli improvvisarono un concerto, la pecora portò della lana soffice, le api gli fecero assaggiare il loro miele e le mucche e le capre il loro latte.

 Nessuno arrivò a mani vuote. Solo l’uomo, l’ultimo della fila si scervellava non sapendo che cosa portare. Quando arrivò il suo turno ebbe una felice intuizione: salì sulle ginocchia di Dio e gli disse : “Ti amo!” Dio sorrise e tutta la creazione esplose in un boato di approvazione.