Di fronte ad un capolavoro noi possiamo regolarci in due modi diversi: o ci concentriamo sul capolavoro e lo studiamo, cercando di apprezzarne i pregi oppure apriamo un dialogo con l’autore per capire meglio i criteri e i motivi che lo hanno guidato nel realizzare l’opera. Noi seguiremo questo secondo criterio.

Nel primo capitolo della Genesi viene presentato il Creatore incantato di fronte alle creature che la sua mente faceva esistere: «E vide che era cosa buona … molto buona». Noi cercheremo di guardare Maria con gli occhi del suo Creatore.

Nella vicenda di Maria di Nazareth Dio ci ha fatto conoscere i suoi progetti sull’uomo e il modo in cui intendeva realizzarli. Contemplando Maria scopriamo, così, il volto meraviglioso del Padre. Questo ci proponiamo con la riflessione che affrontiamo. Andremo per gradi, scopriremo Maria, il capolavoro di Dio, e conosceremo anche le intenzioni che Dio ha su di noi.

Lo stile di Dio

Quando Dio mandò Samuele a scegliere e consacrare il successore di Saul, gli disse: «Non guardare al suo aspetto (…) perché io non guardo ciò che guarda l’uomo. L’uomo guarda l’apparenza, il Signore guarda il cuore» (1Sam 16,7). È lo stile di Dio: non si lascia incantare dalle apparenze o dai titoli, ma va direttamente al cuore.

Al tempo di Gesù, Nazareth era un villaggio, mai stato nominato prima nella Bibbia. San Girolamo parla di un villaggio di circa un centinaio di persone. Lì Dio notò una ragazza a cui forse nessuno aveva fatto caso. Era l’incontro che da secoli egli stava preparando. All’inizio della vicenda umana (Gen 3,8ss), Dio ha cercato invano l’uomo che aveva collocato nel giardino e investito della missione di custode e di difensore del giardino stesso: «Adamo, dove sei?». La risposta era giunta imbarazzata: «Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto». Dio domandò: «Chi ti ha fatto sapere che eri nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?». Adamo ed Eva non erano più nel posto in cui Dio li aveva messi, cioè di “signori” del creato. Era finito l’idillio iniziale.

Per millenni Dio e l’uomo si sono cercati senza riuscire a incontrarsi. Dio non è riuscito a trovare, tra loro, l’interlocutore che gli occorreva, finché un giorno Dio lo trovò in una giovanissima ragazza di Nazareth: «L’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazareth, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria» (Lc 1,26-27). Dio non deve chiederle, come ad Adamo «Dove sei?». Dio ha tutte le coordinate per trovarla (una città chiamata Nazareth, una vergine di nome Maria e un fidanzato ufficiale, di nome Giuseppe del casato di Davide). Maria non si nasconde, come Adamo, per paura; accetta quel dialogo, che può finalmente ripartire.

Maria non era di un casato prestigioso, non aveva titoli particolari né apparenza degna di nota, ma, se Dio l’ha scelta, significa che aveva visto in lei titoli ben più alti.

La forza di Dio: l’amore

Scegliendo quella ragazza di Nazareth, Dio ha fatto conoscere i suoi piani e i suoi modi di condurre la storia umana. Un’idea sbagliata di Dio e del suo modo di agire ha provocato e provoca ancora oggi divisioni, odi, contrapposizioni, paure dei castighi … In tanti chiedono a Dio di intervenire, di agire, di punire, di eliminare. Il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, il Dio di Gesù … non ha bisogno di umiliare i suoi avversari; li vince con l’amore, con la dolcezza, con la debolezza. Gli esempi, nelle Scritture, sono infiniti. Ne scelgo due notissimi come conferma.

Tutti ricordiamo dalla nostra fanciullezza, il racconto della sfida tra Davide e Golia (1 Sam 17,23 ss.): la forza dell’età e dell’esperienza contro l’inesperienza della giovinezza, ma anche dell’arroganza contro l’umiltà della fede: «Tu vieni a me con la spada, con la lancia e con l’asta. Io vengo a te nel nome del Signore degli eserciti, Dio delle schiere d’Israele, che tu hai insultato». Tutti sappiamo come è andata la vicenda: Davide giovanissimo, inesperto dell’arte militare, rifiuta perfino l’armatura che sembrava indispensabile. Solo una fionda e quattro ciottoli del torrente. E potremmo anche ricordare Gedeone che ha vinto i Filistei con un esercito ridotto ai minimi termini, a Debora, a Giaele donne che hanno piegato l’arroganza dei nemici con la loro debolezza.

Quando Dio ha deciso di mandare il Figlio, doveva scegliere un grembo per lui, e una sposa per lo Spirito che l’avrebbe resa madre fece scelte secondo il suo stile. In un villaggio che le Scritture sante non avevano mai menzionato, scelse una ragazza giovanissima, senza titoli o parentele altolocate e persino non considerata in particolare dal centinaio di abitanti di quel villaggio. Lei accetterà il misterioso saluto anche se le rimane oscuro. «Rallegrati, Maria, ricolmata di grazia, il Signore è con te». E si rallegrerà, non perché le sue vicende sono facili e piacevoli, ma perché sente che il disegno di Dio si sta compiendo per l’umanità. «Ha guardato l’umiltà della sua serva (il testo greco ha il termine tapinità invece di umiltà), per questo tutte le generazioni mi chiameranno beata». La sua grandezza non è un suo titolo di merito, ma le viene dal fatto che Dio ha posato lo sguardo su di lei.

Dio non improvvisa, prepara

Maria non è capitata per caso, è il risultato di un lavoro di cesello durato millenni. Il mito della donna e del serpente è proprio all’inizio del percorso, quando il male fa la sua prima comparsa. «Io porrò inimicizia tra te e la donna, / tra la tua stirpe e la sua stirpe: / questa ti schiaccerà la testa / e tu le insidierai il calcagno» sono le parole di Dio al serpente. La debolezza della donna lo schiaccerà. Sarà così in

tutto il percorso della storia di Israele.

In tempi di grave crisi, la salvezza verrà al popolo di Dio attraverso la fragilità della donna (Gdc 4,17-22; 5,24-27) nelle figure di Debora e Giaele, ma in particolare, la storia di Giuditta svilupperà ampiamente il tema della vittoria di Dio sulla violenza dell’oppressore (Gdt 6,2) attraverso la fede e l’impotenza di una donna (Gdt 13). Queste ed altre sono le figure di donne che anticipano Maria di Nazareth.

«Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge» (Gal 4,4). Così l’apostolo Paolo riassume il lavoro paziente con cui Dio ha preparato l’arrivo di Maria.

La “Madre” (così la chiama sempre il IV Vangelo, perché essa riassume la grandezza di tutte le grandi donne di Israele) ha condiviso tutti i momenti di silenzio e di nascondimento del figlio anche durante la sua attività di Maestro, ma soprattutto è stata accanto a lui nell’ora più importante della sua vita (quella che Gesù chiamava «la mia ora»)  momento drammatico in cui il Figlio rivela la potenza di Dio nella debolezza della sua carne umana: «Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala …» (Gv 19,m25). “Stava” e non solamente “era” dice molto di più, perché stare accanto al Figlio era una sua scelta, era la sua missione di madre.

È nella consegna che il Figlio morente le fa («Donna ecco tuo figlio»), che si conferma la sua missione di madre del genere umano, la nuova, la vera Eva, madre dei viventi, cosa che era già stata adombrata dalle parole del vecchio Simeone il giorno della presentazione al tempio: «E anche a te una spada trafiggerà l’anima» (Lc 2,35). Maria è con il Figlio in quel sacrificio che riscatta tutta l’umanità.

DONNE D’ISRAELE “FIGURE” DI MARIA

  1. DEBORA (Ape)

“Sedeva sotto la palma di Debora” e accoglieva “tutti gli israeliti che andavano da lei per vertenze giudiziarie”. In Gdc 5, 7 indica se stessa come “Madre in Israele”. Bellissimo il suo cantico (Gdc 5). Una tradizione locale suggeriva alle madri in attesa di un figlio di pregare sotto la sua immagine.

  1. REBECCA (Compagna?)

Moglie di Isacco, madre di Giacobbe ed Esaù, due gemelli molto diversi: dal primo discende il popolo eletto, dal secondo altri popoli. È considerata la Grande Madre dalla

tradizione ebraica.

  1. SARA (Principessa)

Moglie di Abramo, diventa madre di Isacco in tarda età. Per questo in Eb 11,11 è presentata come modello di fede. S. Paolo (Gal 4) la indica come “donna libera” e madre dei Cristiani.

  1. RUT (Amica)

Esemplare donna pagana. Rimasta vedova giovanissima e senza figli, sceglie di restare con la suocera vecchia e povera e le dice:”il tuo popolo sarà il mio popolo; il tuo Dio sarà il mio Dio”. Incontrerà poi il ricco Booz, lo sposerà e diventerà la bisnonna di Davide.

Il suo nome è ricordato da Matteo nella genealogia di Gesù.

  1. GIUDITTA (Giudea)

Quando torna, dopo aver liberato Israele dal generale Oloferne è acclamata:”Tu gloria di Gerusalemme, Tu letizia d’Israele, tu splendido onore della nostra gente”(Gdt 15,10).

  1. GIAELE (Antilope) Con un gesto coraggioso e crudele, ha liberato Israele da un nemico spietato. Rappresentata con in mano un piolo per tenda e martello, gli strumenti che le bastano per annientare l’invincibile capo di un terribile esercito armato di 700 “carri di ferro”. Viene salutata come “Benedetta tra le Donne” (Gdc 5, 24). Parole che Luca ha inserito nel saluto a Maria.

DIO HA SCELTO LA MADRE PER IL “FIGLIO” E PER I “FIGLI”

È attraverso di lei che il Padre inserisce il Figlio nella storia e nel tempo degli uomini, nelle tradizioni del popolo eletto; è da lei che Cristo impara le parole umane con cui ci parlerà nel Vangelo; da lei apprende a vivere, a guardare, a sentire e ad amare. E quando Gesù affermerà: «Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre» non farà che riconoscere la grandezza della Madre sua, che lo aveva formato alla regola fondamentale della propria vita: la fiducia nel Padre: «Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu» (Mc 14,36).

Nello smarrimento al tempio, il giorno in cui Gesù, compiendo i dodici anni, veniva ufficialmente inserito nel popolo di Israele, egli lascia capire che la sua vita è inserita in un progetto più ampio: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (Lc 2,49). Dopo il dialogo intenso con i dottori, esperti delle sacre Scritture, il figlio di Maria intuisce che la sua vicenda è parte fondamentale di un progetto molto più ampio, quello del Padre.

Il Vangelo secondo Matteo, nel racconto della nascita, attribuisce a Giuseppe il compito di avere inserito quel figlio nella discendenza davidica, ma è attraverso Maria, resa madre per opera dello Spirito santo, che quel figlio si rivela protagonista di un piano molto più grande: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo.  Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Maria è la madre di colui che salverà il popolo dai suoi peccati. Dio ha scelto questa donna perché fosse, accanto al Figlio, a servizio del piano di salvezza dell’umanità.

Riflessi dell’Altissimo in Maria

Scegliendola come madre per il Figlio, Dio ha voluto conferirle tutte le caratteriste che l’avrebbero resa collaboratrice ideale del suo progetto. La devozione a Maria ha creato per lei dei titoli che la caratterizzano sotto i vari aspetti; sono tantissimi ed esprimono in vario modo, l’affetto e la devozione dei fedeli; un esempio classico sono le litanie. La Scrittura, invece, è molto sobria. Su alcuni titoli che la Scrittura le dà ci fermeremo, perché ci dicono qualcosa di grande su Maria.

Il Vangelo secondo Luca è quello che dedica a Maria due attributi veramente significativi. La chiama la credente (in greco pisteusasa) e la contemplativa (in greco synballusa).

La credente. La vicenda di Maria si apre con una sua resa incondizionata alla parola del messaggero: «Gioisci, Maria, ricolmata di grazia (…) Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». Parole meravigliose, ma anche tanto oscure: Gioisci … non temere … hai trovato grazia … darai alla luce un figlio … regnerà per sempre su trono di Davide … Maria non comprende: «Come è possibile? Non conosco uomo», ma alla replica del messaggero «Nulla è impossibile a Dio» segue la resa incondizionata di Maria: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». “Gioisci, Maria…” le sarà tornato alla mente nella notte di quella nascita a Betlemme, nei trentatré anni di vita a Nazareth, nell’ostilità dei capi religiosi al giovane Rabbi, nella condanna ingiusta e nella morte tragica del figlio sulla croce … Di che cosa doveva gioire Maria? Gioiva perché sentiva, nella fede che si stava compiendo un disegno per tutta l’umanità. E Maria disse sempre di sì.

La contemplativa. Dopo la partenza dei pastori, l’evangelista Luca annota: «Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano. Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19). Dopo lo smarrimento e il ritrovamento nel tempio e la risposta apparentemente dura del Figlio «Non sapevate che devo occuparmi delle cose del Padre mio» nota l’evangelista: «Ma essi non compresero le sue parole. Partì dunque con loro e tornò a Nazareth e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore» (Lc 2,50-51). Si interrogava e non capiva l’ostilità dei capi religiosi nei confronti del Figlio si interrogò di fronte al patibolo su cui venne appeso ingiustamente … Nella fede cercava di capire quale disegno stesse dietro a questi avvenimenti…

RASSOMIGLIANZA

Un missionario viaggiava su di un veloce treno in Giappone. Avendo tempo e calma, pregava con il suo breviario. Uno scossone del treno fece cadere dal suo libro un’immaginetta che raffigurava la Madonna con il Bambino. Un ragazzino seduto difronte si chinò e raccolse l’immaginetta. Prima di renderla al missionario la guardò e chiese: “Chi è questa signora?”. “È mia madre” rispose il missionario dopo un po’ di esitazione. Il bambino guardò l’immagine e poi il missionario: “Non le assomigli molto” disse. Il missionario sorrise: “Eppure, ti assicuro che è tutta la vita che cerco di assomigliarle, almeno un po’”.

Ho voluto riportare questo piccolo racconto per aprire una verifica delle nostre reazioni agli avvenimenti che a volte ci disorientano. Quale risposta diamo? Una reazione istintiva, spaventata, irritata … o un tentativo di rilettura nella fede?

Il IV Vangelo (il Vangelo secondo Giovanni) quando presenta Maria la chiama sempre la Madre e quando il Figlio si rivolge a lei la chiama donna. Ci soffermiamo sui due titoli perché hanno un valore teologico per noi.

Donna. “Donna” è abbreviazione del latino Domina, cioè “Signora. Con questo termine Gesù si rivolge a sua madre. A Cana, Maria è chiamata “donna” e come Signora interviene e anticipa il cambiamento radicale nei rapporti tra Dio e il suo popolo, rapporto che era ormai al lumicino, ridotto solo ad osservanze rituali, un matrimonio dove mancava la gioia («non hanno vino»). L’intervento della Madre anticipò l’ora in cui il cambiamento sarebbe avvenuto, sulla croce. Così l’acqua insipida di osservanze vuote come le sei idrie, per l’intervento del Figlio, diventa vino di festa e di gioia.

Ai piedi della croce, Gesù la chiama ancora “Donna” («Donna, ecco tuo figlio!»).  Nell’ora in cui tutto si compie (19,30), Maria riceve il discepolo come proprio figlio al posto di Gesù (Gv 19,26-27), e la maternità verginale di Maria diviene maternità spirituale di tutti i credenti.

Al centro dell’Apocalisse c’è la visione della Donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle…» (Ap 12,1). È il confronto tra il serpente e la donna, iniziato all’inizio della creazione: «Io porrò inimicizia tra te e la donna / tra la tua stirpe / e la sua stirpe: / questa ti schiaccerà la testa / e tu le insidierai il calcagno». (Gen 3,15). Eva rappresenta l’umanità sedotta dal serpente e sottomessa alla morte, Maria rappresenta l’umanità nuova, sottratta per grazia alle prese del peccato e della morte. Il Figlio e la Madre sono sottratti al Drago (12,5.13-16), ma la lotta del male contro il bene continua in coloro che obbediscono alle leggi di Dio. Maria è la donna vestita di sole e coronata dalle dodici stelle (12,1) che inaugura la nuova creazione

Madre. Il IV Vangelo (il Vangelo secondo Giovanni) quando presenta Maria la chiama sempre la Madre e quando il figlio si rivolge a lei la chiama donna. È madre nel senso che lo ha generato fisicamente, ma anche nel senso che lo ha introdotto nella vicenda di Israele, rappresenta l’Israele fedele, che ha coltivato l’attesa del Messia e lo ha accolto quando è giunto e lo ha presentato a Israele.

Maria è simbolo di ogni donna e di ogni maternità. L’emancipazione della donna portata all’esasperazione, ha fatto dimenticare, e forse smarrire, la ricchezza umana della femminilità e della maternità.

Napoleone ebbe a dire un giorno: “Ogni soldato porta nel suo zaino il bastone di maresciallo”. Facendo il bordone a questa frase potrei dire: “Ogni donna porta in sé la grandezza della Donna e della Madre.

  1. Il “magnificat”: l’evangelo di Maria

Il Magnificat è un Salmo al femminile, non solo perché sgorga dalla bocca di Maria, ma perché riprende e completa i cantici di altre donne della Bibbia: dal cantico di Miriam, la sorella di Aronne, all’innamorata del Cantico dei Cantici, a Debora, ad Anna, a Giuditta … Questo cantico racchiude in sé attese, gioie, speranze di Israele e l’esultanza di chi vede realizzato il sogno.

Il contesto in cui il cantico è nato (Lc 1,39-46) è l’unica pagina del Vangelo in cui protagoniste sono due donne, Maria ed Elisabetta, due madri, senza nessun’altra presenza che non sia quella del mistero di Dio pulsante nel loro grembo. Nel vangelo secondo Luca sono due donne che, per prime, ci evangelizzano.

Canto di gratitudine a Dio

«In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! E beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore». Allora Maria disse:

«L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,

perché ha guardato l’umiltà della sua serva.

D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.

Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e Santo è il suo nome:

di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono.

Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;

ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili;

ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi.

Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia,

come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre».

 «In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna …». Andava veloce Maria sui monti di Giuda con il segreto grande che portava in grembo, che le metteva le ali ai piedi e la grande voglia di cantare. È libera di partire, non condizionata da niente; libera di lasciare casa e fidanzato per tre mesi; libera come un uccello dell’aria, come un fiore selvatico, come un giglio del campo che riceve il polline quando soffia il vento, che prende il sole e l’acqua quando semplicemente vengono. Questa libertà divina è il terreno su cui può nascere e sbocciare il cantico. Dio è una forza che fa partire, che fa cantare.

 «Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta». Il Magnificat di Maria non nasce nella solitudine, ma in un mondo di affetti, nell’incontro e nell’abbraccio tra lei e la cugina Elisabetta. Non si può ridurre ad un monologo quello che è nato come un dialogo. I nostri amori umani sono frammenti dell’amore grande con cui Dio stringe a se figli e figlie. Nel clima dell’amore Dio si sente a casa, perché egli è amore.

 «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!». Ritorna qui la benedizione che Dio nell’Eden aveva dato alla prima copia umana: «Dio li benedisse». Elisabetta si fa bocca di Dio e rilancia il giuramento originario di Dio, lo estende su Maria e da Lei su ogni donna, su ogni uomo, su ogni creatura. Crescete e moltiplicatevi: Dio benedice moltiplicando la vita! L’incontro con l’altro diventa fecondo se si apre alla benedizione.

«E beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore». . Beata è Maria non per il privilegio di essere la prescelta ad essere grembo/casa del Figlio di Dio, ma perché ha creduto nell’adempimento della Parola. Crede nella parola, prima che si realizzi, crede nonostante l’oscurità della fede: «Come avverrà questo poiché io nono conosco uomo?». È la fede chiesta ad Abramo, che si è messo in movimento dietro una promessa; è la fede dei profeti che amano la parola di Dio più ancora della sua attuazione; è la fede di Israele che muove le sue tende spinto dalla Parola/Promessa di Jhwh.

Magnificat: musica per il cuore di Dio

Elisabetta, con la benedizione, ha dato il tono e il ritmo e Maria ora apre la danza. Il suo animo diventata musica e canta. Inizia con lo sguardo posato sulla sua vicenda personale e poi, via via, si allarga al popolo e va fino ad abbracciare le generazioni che verranno. Quella ragazza di Nazareth è capace di sentire in grande, di pensare in grande, vive la gioia del suo focolare domestico ma con le finestre spalancate sulla grande storia, sull’intera storia della salvezza.

þ «L’anima mia magnifica il Signore …». “Magnificare” significa cercare nel cuore le più belle parole per Dio. Le più belle che sappiamo, le migliori che abbiamo. È possibile a una piccola creatura far grande l’Infinito? Sì lo può fare, se gli offre spazio dentro di sé, se gli offre un luogo in cui radicarsi ed espandersi. Qualcuno o qualcosa diventa grande quando gli offriamo lo spazio del nostro tempo. Dio è piccolo o grande a seconda dello spazio che gli concediamo nella nostra vita. Maria gli ha dato tutto lo spazio che chiedeva, senza nulla riservare per sé, e poteva, quindi, veramente, “magnificarlo”. …

þ «… il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore». “Esultare” letteralmente (dal latino exsultāre o ĕx- saltāre) significa saltellare, danzare. Dante Alighieri definiva Dio “Amor che muove il sole e l’altre stelle”. È lui che muove alla danza. Noi siamo stati educati a sentire Dio come il giudice che decide la nostra sorte; Maria invece sente Dio come un passo di danza a due, un vento che fa fremere la vela della vita: l’anima danza per il mio amato. È come l’amata del “Cantico dei Cantici”: «Che ammirate nella Sulammita durante la danza a due schiere?» (Ct 7,1).

þ «… ha guardato l’umiltà della sua serva …». Il termine “umiltà” andrebbe tradotto con “tapinità” (in greco tepèinosy). Maria è la donna delle periferie umane. Non ha titoli su cui contare: nasce in Palestina, piccola regione alla periferia dell’immenso impero romano; vive in Galilea, terra disprezzata anche dai Giudei per la sua popolazione mista, quasi pagana; viene dal villaggio di Nazareth, paese mai nominato nella Bibbia (un pugno di case senza storia, senza ricordi, senza futuro). È donna in una società dove le donne hanno pochissimi diritti. È una piccola donna, quasi una bambina, forse illetterata, che si alimenta di una religione che ha il proprio centro nelle Scritture.  E Dio ha scelto proprio lei come sua partner nella storia di salvezza che sta iniziando.

þ «Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente …». La visita di Dio non cambia la condizione di Maria, essa rimane nella sua povertà reale, nel suo ruolo sociale marginale e oscuro, eppure canta… «Ha fatto per me cose grandi». Il suo canto nasce dalla sua capacità di stupore, perché la gioia è direttamente proporzionale alla capacità di rimanere sorpresi. La sua esultanza nasce dall’innamoramento per un Dio che è entrato nella storia umana per curarne le ferite. Questo Dio ha guardato a lei e ha fatto dei suoi giorni un tempo di stupore. Questo è il volto bello che Maria ci consegna: un Dio che viene, non ruba niente e dona tutto; la sua venuta incanta la vita. Quello che in Maria ci sorprende è la sua capacità di stupirsi di cose che agli altri non sembrano dire nulla.

þ  «Ha guardato l’umiltà … Grandi cose ha fatto in me … la sua misericordia

si stende … Ha spiegato la potenza del suo braccio … ha disperso i superbi … ha rovesciato i potenti … ha innalzato gli umili … ha ricolmato di beni gli affamati … ha rimandato i ricchi a mani vuote … Ha soccorso Israele …». Maria vede Dio come il regista assoluto ed unico della storia umana. Al centro del Magnificat c’è “il decalogo” del Dio appassionato dell’uomo: è lui che ha guardato, è lui che solleva, è lui che colma di beni, è lui … per dieci volte. A differenza del primo Decalogo che era fatto di prescrizioni, quello di Maria racconta l’impegno di Dio per i suoi figli e le sue figlie. Al centro di questo Decalogo non c’è l’uomo con degli adempimenti da fare, ma c’è Dio con le sue premure per l’uomo. La religione del Magnificat si fonda non sul dovere, bensì sul dono.

þ «Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili …». Eppure sembra che sia una smentita: dopo duemila anni i poveri restano poveri, gli affamati sono ancora più affamati, e i detentori del potere rimangono saldamente sui loro troni. Dov’è allora il rovesciamento? Non possiamo ripetere la speranza a cuor leggero, poiché la fame continua ad uccidere e i cimiteri trionfano. Nella Prima Lettera di Giovanni (5,4) è scritto: «Questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede». Coltivare una speranza che è più forte dei fatti che sembrano smentirla. Noi, con Maria, crediamo che il mondo sia cambiato non per i segni che riusciamo a discernere dentro il groviglio sanguinoso della storia, ma perché c’è la promessa di Dio. Egli non esaudisce sempre le nostre preghiere, ma adempie le sue promesse. L’ultimo libro della Bibbia, l’Apocalisse ci assicura questo: ciò che tarda avverrà.

þ «Ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso …». Per noi passato, presente e futuro sono distribuiti sul percorso dei tempi, per Dio sono contemporanei e rimangono saldamente ancorati alla sua promessa. È curioso che Maria usi, per l’agire di Dio nella storia umana, i verbi al passato (ha guardato … ha fatto … ha spiegato …) che indicano cose certe, perché avvenute; lo fa per assicurarci che la promessa di Dio si è già avverata. La profezia brucia i tempi e canta il futuro già visto, anche se solo con gli occhi del cuore. La speranza non si sbaglia, scommettendo su Dio vincitore in partenza.

þ «Ricordandosi della sua misericordia …». Ricordare è un verbo che viene dal latino re-cor-dare e significa letteralmente “tenere vicino al cuore, affidare al cuore”. Per Maria la promessa è insediata lì, nel cuore di Dio. Non ci può essere migliore garanzia. Di fronte agli eventi che si succedevano nei racconti dell’infanzia e fanciullezza di Gesù (visita dei pastori, venuta dei magi, smarrimento al tempio …), Maria cercava di capire, meditando. Il testo greco usa un termine molto più espressivo, sunbàllusa, che significa comporre il puzzle, il mosaico di un disegno di cui si hanno le tessere da assemblare. Maria, meditando, intuiva il grande disegno in cui era coinvolta.

MARIA, DONNA ACCOGLIENTE

Il Concilio Vaticano II ha, nei riguardi di Maria, un’espressione breve ma splendida. Dice che, all’annuncio dell’Angelo, Maria «accolse nel cuore e nel corpo il Verbo di Dio». Mons. Tonino Bello ha fatto sul tema una meditazione che proponiamo.

Nel cuore e nel corpo

Fu, cioè, discepola e madre del Verbo. Discepola, perché si mise in ascolto della Parola e la conservò per sempre nel cuore. Madre, perché offrì il suo grembo alla Parola e la custodì per nove mesi nello scrigno del corpo.

Forse per capire fino in fondo la bellezza di questa verità, il vocabolario non basta. Bisogna ricorrere alle espressioni visive. E allora non c’è di meglio che rifarsi ad una celebre icona orientale, che raffigura Maria con il divin Figlio Gesù inscritto sul petto. È indicata come “la Madonna del segno”, ma potrebbe essere chiamata “la Madonna dell’accoglienza”, perché, con gli avambracci levati in alto, in atteggiamento di offertorio o di resa, essa appare il simbolo della più gratuita ospitalità.

ACCOLSE NEL CUORE

Fece largo, cioè, nei suoi pensieri ai pensieri di Dio. ma non si sentì, per questo, ridotta al silenzio. Offrì volentieri il terreno vergine della sua intimità alla germinazione del Verbo, ma non si considerò espropriata di nulla. Gli cedette con gioia il suolo più inviolabile della sua vita, ma senza dover ridurre gli spazi della sua libertà. Diede alloggio al Signore nella sua casa, ma non ne sentì, la presenza come violazione di domicilio. Gli aprì le porte delle stanze più segrete, ma senza subirne lo sfratto.

ACCOLSE NEL CORPO

Sentì, cioè, il peso fisico di un altro essere che prendeva dimora nel suo grembo di madre. Adattò, quindi, i suoi ritmi a quelli dell’ospite. Modificò le sue abitudini in funzione di un compito che non le alleggeriva certo la vita. Consacrò i suoi giorni alla gestazione di una creatura che non le avrebbe risparmiato preoccupazioni e fastidi. E poiché il frutto benedetto del seno suo era il Verbo di Dio che s’incarnava per la salvezza dell’umanità, capì di aver contratto con tutti i figli di Eva un debito di accoglienza che avrebbe pagato con cambiali di lacrime.

Quell’ospitalità fondamentale la dice lunga sullo stile di Maria e delle sue mille altre accoglienze di cui il vangelo non parla, ma che non ci è difficile intuire. Nessuno fu mai respinto da lei. Tutti trovarono riparo sotto la sua ombra. Dalle vicine di casa, alle antiche compagne di Nazaret. Dai parenti di Giuseppe, agli amici di gioventù di suo figlio. Dai poveri della contrada, ai pellegrini di passaggio. Da Pietro, in lacrime dopo il tradimento, a Giuda che, forse, quella notte non riuscì a trovarla in casa.

Santa Maria, donna accogliente, aiutaci ad accogliere la Parola nell’intimo del cuore. A capire, cioè, come hai saputo fare tu, le irruzioni di Dio nella nostra vita. Egli non bussa alla porta per intimarci lo sfratto, ma per riempire di luce la nostra solitudine. Non entra in casa per metterci le manette, ma per restituirci il gusto della vera libertà.

Lo sappiamo: è la paura del nuovo a renderci spesso inospitali nei confronti del Signore che viene. I cambiamenti ci danno fastidio. E siccome lui scombina sempre i nostri pensieri, mette in discussione i nostri programmi e manda in crisi le nostre certezze, ci nascondiamo come Adamo nell’Eden, ogni volta che sentiamo i suoi passi. Facci comprendere che Dio, se ci guasta i progetti, non ci rovina la festa; se disturba i nostri sonni, non ci toglie la pace.

Santa Maria, donna accogliente, rendici capaci di gesti ospitali verso i fratelli. Sperimentiamo tempi difficili, in cui il pericolo di essere defraudati dalla cattiveria della gente ci fa vivere dietro porte blindate e sistemi di sicurezza. Non ci fidiamo più l’uno dell’altro. Vediamo agguati dappertutto. Il sospetto è diventato organico nei rapporti con il prossimo. Il terrore di essere ingannati ha preso il sopravvento sugli istinti di solidarietà che pure ci portiamo dentro. E il cuore se ne va a pezzi, dietro i cancelli dei nostri recinti.

Disperdi, ti preghiamo, le nostre diffidenze. Facci uscire dalla trincea degli egoismi corporativi.

Santa Maria, donna accogliente, ostensorio del corpo di Gesù deposto dalla croce, accoglici sulle tue ginocchia, quando avremo reso lo spirito anche noi. Dona alla nostra morte la quiete fiduciosa di chi poggia il capo sulla spalla della madre e si addormenta sereno. Tienici per un poco sul tuo grembo, così come ci hai tenuti nel cuore per tutta la vita. Compi su di noi i rituali delle ultime purificazioni. E portaci, finalmente, sulle tue braccia davanti all’Eterno.

Perché solo se saremo presentati da te, sacramento della tenerezza, potremo trovare pietà. (Tonino Bello, da “Nigrizia”, giugno 1991, p. 58)